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 2018  febbraio 28 Mercoledì calendario

Gentiloni, il premier per caso: molto stile e parecchi insuccessi

In quattordici mesi Paolo Gentiloni è passato da un relativo anonimato alla condizione di politico popolare e considerato indispensabile. L’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo ha definito “essenziale per la governabilità”, secondo gli ultimi sondaggi noti, a gennaio godeva di una popolarità doppia rispetto a Matteo Renzi, 40 per cento contro 20, e in campagna elettorale è diventato il volto del Pd. Eppure la sua esperienza di governo, da tutti apprezzata per i toni pacati, non è fatta tutta di momenti indimenticabili. Ecco un bilancio provvisorio.
EUROPA
Tanta diplomazia, poche poltrone
A Bruxelles hanno accolto con un certo sollievo lo stile di Paolo Gentiloni, “una forza tranquilla”, dicono, dopo le continue oscillazioni di Renzi, un giorno campione dell’europeismo e quello dopo pronto a “battere i pugni sul tavolo”. Con uno stile consensuale sviluppato da ministro degli Esteri, Gentiloni ottiene successi in partite che Renzi non riusciva a gestire bene: una dichiarazione firmata da tutti i Paesi dell’Ue al vertice di Roma per i 60 anni del processo di integrazione, un dialogo costante con i Paesi ribelli del gruppo di Visegrad. Il premier ha ottenuto la firma della Polonia sulla dichiarazione di Roma, poi ha visitato Slovenia e Repubblica Ceca, ha tenuto una linea ferma sull’immigrazione, ma ha anche ottenuto un accenno di cooperazione nella difesa delle frontiere comuni.
Nonostante queste sintonie, in Europa l’Italia di Gentiloni incassa varie sconfitte: la più pesante sull’Ema, l’agenzia per il farmaco che deve lasciare Londra causa Brexit. Tra Milano e Amsterdam, in parità sui voti, decide il sorteggio: vincono gli olandesi anche se non hanno una sede provvisoria pronta, a differenza dei milanesi. Poi l’Italia sonda i partner Ue per mandare il ministro Pier Carlo Padoan alla guida dell’Eurogruppo, il coordinamento dei ministri economici dell’eurozona, al posto dell’olandese Jeroen Dijsselbloem. Il nome di Padoan viene fatto circolare e poi ritirato con la scusa delle elezioni imminenti: il ministro finirà candidato per il Pd a Siena e la presidenza dell’Eurogruppo va al portoghese Mario Centeno. Quando, pochi giorni fa, si deve scegliere il nuovo vicepresidente della Bce l’Italia fa sapere di preferire l’irlandese Philip Lane al posto del ministro spagnolo Luis De Guindos. L’Irlanda ritira la candidatura di Lane e De Guindos si prende il posto.
MIGRANTI
Meno sbarchi dalla Libia, solo gregari in Niger

Da ministro degli Esteri Gentiloni era stato il primo a visitare il governo di Al Serraj in Libia, sostenuto dalla comunità internazionale ma molto fragile. Da premier mette la stabilizzazione della Libia al centro di una strategia che affida al ministro dell’Interno Marco Minniti. Un ruolo cruciale ce l’ha intelligence, su cui Gentiloni tiene la delega. Gentiloni non si espone molto nel momento più difficile, l’estate 2017 in cui Minniti cerca di limitare l’attività delle Ong nelle acque territoriali libiche. I numeri permettono a Gentiloni di rivendicare successi, nonostante le polemiche sulle condizioni in cui vengono tenuti i migranti in transito in Libia. Gli sbarchi in Italia scendono da 181.436 del 2016 a 119.369 del 2017. Nel 2018, dato aggiornato a ieri, sono 5.247. A dicembre del 2016, appena insediato, la prima mossa sul tema di Gentiloni è favorire un piano di aiuti tra Ue e Niger che vale 610 milioni di euro. Gentiloni perderà presto però la presa su quel Paese di transito decisivo per gli equilibri in Libia: la Francia di Emmanuel Macron lo considera parte della sua sfera di influenza. Quando l’Italia, un anno dopo e col Parlamento prossimo allo scioglimento, decide di spostare 500 soldati in Niger l’operazione pare più un atto di sottomissione a Macron che una scelta autonoma.
BANCHE
Mps non è guarita, in Veneto regalo a Intesa

La prima decisione importante di Gentiloni da premier arriva il 23 dicembre del 2016: un piano da 20 miliardi per salvare il settore bancario. Viene battezzato “decreto salvarisparmio” ma serve soprattutto a salvare il Monte dei Paschi di Siena e le due banche venete, Veneto banca e Popolare di Vicenza. Azionisti e obbligazionisti subordinati di questi ultimi due istituti vengono azzerati, la parte buona di entrambe le banche viene data a Intesa Sanpaolo al prezzo simbolico di un euro. Intesa riceve poi un sostegno finanziario dallo Stato di 3,5 miliardi di euro, oltre che il controllo del ricco mercato veneto in cui non c’è di fatto più concorrenza. Il modo in cui è costruita la “risoluzione” delle due banche e le condizioni che lo Stato fissa per recuperare i 3,5 miliardi, osserva Marco Gallea su Lavoce.info, determina un “ingentissimo e gratuito trasferimento di valore” da azionisti e obbligazionisti subordinati “verso gli azionisti di Intesa”.
A Siena il ministero del Tesoro si ritrova azionista di controllo di Mps con il 68,3 per cento delle azioni. Il patrimonio della banca è stato ripristinato, ma le sue prospettive restano fosche: nel 2017 i ricavi scendono di 300 milioni, solo le due banche in piena crisi Creval e Carige fanno peggio. I prestiti alla clientela scendono da 106 a 86 miliardi in dodici mesi. Lo Stato ha evitato il collasso della banca, obbligazionisti e creditori sono stati tutelati, ma il destino dell’istituto ora pubblico – e dunque dei soldi dei contribuenti in esso investiti – resta incerto. Soltanto nell’ultimo mese le azioni, ora di nuovo quotate in Borsa, hanno perso il 18 per cento. È stato il governo Renzi a rinviare la soluzione di queste crisi bancarie, per timore di perdere consensi al referendum costituzionale 2016, ma è Gentiloni a prendersi la responsabilità dei provvedimenti di intervento pubblico.
CONTI PUBBLICI
Più deficit e rischio di manovra correttiva
Da premier Gentiloni ha firmato un solo Documento di economia e finanza (Def), il quadro che determina la legge di bilancio: quello del 2018. Ha ereditato il Def 2016 da Renzi e potrebbe scrivere quello 2019 se ad aprile ancora non ci sarà un nuovo governo, tutti con Pier Carlo Padoan come ministro dell’Economia. Sull’unico l’unico Def tutto gentiloniano, quello 2018 che ha generato la legge di bilancio approvata a fine anno, pende l’ipotesi di una manovra correttiva che potrebbe essere richiesta in primavera dalla Commissione europea. L’estate scorsa, infatti, Padoan ha comunicato a Bruxelles che l’Italia avrebbe ridotto il deficit strutturale (quello che sconta gli effetti del ciclo economico) rispetto al Pil soltanto dello 0,3 per cento, invece che dello 0,8 concordato. Secondo i calcoli della Commissione – che ha avallato lo sconto pur con qualche dubbio – la correzione reale però sarebbe soltanto dello 0,1, un terzo di quanto promesso nei documenti ufficiali. Difficile poter chiedere altra flessibilità nel 2018: l’Italia ha usato gli ultimi spazi disponibili per disattivare in deficit le clausole di salvaguardia (eredità di Renzi): l’aumento dell’Iva nel 2018 da 15,7 miliardi è stato scongiurato in gran parte lasciando aumentare il deficit.
NOMINE
Non tanti renziani, l’errore. Profumo e il blitz su Fs

Il governo Gentiloni si trova, a marzo 2017, a dover nominare i vertici di tutte le grandi aziende controllate dallo Stato. Le scelte del premier sono in parte in continuità con quelle di Renzi. All’Eni conferma Claudio Descalzi amministratore delegato, nonostante l’indagine per corruzione internazionale in Nigeria che di lì a poco si trasformerà in imputazione (il processo comincia a Milano il giorno dopo le elezioni). Non una parola da Gentiloni sull’inchiesta. Allontana dalle Poste Francesco Caio, sgradito a Renzi, e prende da Terna un manager stimato dal segretario Pd, Matteo Del Fante. Caio, poi, lo recupera come consulente a palazzo Chigi. A Leonardo Gentiloni nomina un altro renziano delle origini, il banchiere Alessandro Profumo: lo scetticismo che accoglie un manager finanziario alla guida di un colosso industriale complesso come l’ex-Finmeccanica verrà confermato dai risultati. Nell’ultimo anno il titolo è crollato del 28 per cento. Profumo arranca, già si parla di una sua imminente uscita, per traslocare alla Cassa depositi e prestiti. Il 30 dicembre scorso, a Camere già sciolte, Gentiloni avalla uno dei più spregiudicati blitz mai compiuti nel campo delle nomine pubbliche: con la scusa della fusione con Anas, l’azienda statale delle strade, viene convocata l’assemblea degli azionisti delle Ferrovie dello Stato. Il socio unico, cioè il ministero del Tesoro di Padoan, con cinque mesi d’anticipo sulla scadenza (aprile, cioè dopo le elezioni) conferma per un altro triennio la presidente Gioia Ghezzi, l’ad Renato Mazzoncini e tutto il cda pieno di renziani. Senza quel rinnovo, forse, il caos ferroviario seguito alla caduta di pochi centimetri di neve avrebbe potuto costare il posto all’ad Mazzoncini, se la decisione sul suo futuro si fosse presa alla scadenza naturale di aprile. Il governo Gentiloni rinuncia poi a nominare il nuovo presidente dell’Autorità dell’energia – problema rinviato a dopo il voto – e sceglie per la Consob un tecnico europeo, Mario Nava che gli esegeti del potere di Bruxelles raccontano essere molto legato ad Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo e possibile premier di un governo di centrodestra. Pochi giorni fa tenta di decidere subito le nomine dei servizi segreti, i cui vertici scadono da marzo e maggio. Ci riesce solo a metà, il Copasir, comitato parlamentare di controllo sull’intelligence, si spacca e i capi di Dis (coordinamento), Aisi (interno) e Aise (estero) rimangono finché non ci sarà un altro governo con pieni poteri e comunque non più di un anno.
INDUSTRIA
Alitalia nel limbo, favori alle autostrade
Gentiloni eredita alcuni dossier lasciati in sospeso da Renzi. Da premier nomina tre commissari per l’Alitalia, dopo il fallimento della gestione di Etihad (propiziata proprio da Renzi): si insediano a maggio 2017, non è ben chiaro se col compito di venderla o di rilanciarla. Quasi un anno dopo sono ancora lì, sugli acquirenti c’è grande incertezza ma intanto lo Stato ha messo nella ex compagnia di bandiera altri 900 milioni, un prestito che difficilmente sarà rimborsato. Delle grandi partite industriali – da Ilva a Telecom – Gentiloni non sembra interessarsi, lascia tutto al ministro dello Sviluppo Carlo Calenda. E non si occupa neppure di contestate decisioni del ministro dei Trasporti, Graziano Delrio: viene autorizzato un rincaro record dei pedaggi, 2,74 per cento a fronte di un’inflazione dello 0,5, in cambio di non si sa bene quali investimenti (in calo da anni) dei concessionari. I benefici per le imprese private – Autostrade per l’Italia dei Benetton su tutte – valgono miliardi, il salasso per gli automobilisti altrettanto.