La Stampa, 28 febbraio 2018
Ipnosi e cause milionarie per Harvey Weinstein l’ex padrone degli Oscar
Tre Manifesti a Ebbing, Missouri o La forma dell’acqua? E se, a sorpresa, spuntasse fuori Get Out? Come a ogni vigilia degli Oscar – la cerimonia avverrà domenica prossima – dominano i pronostici su chi salirà sul palco in trionfo e chi resterà deluso. Ma c’è un tono meno celebrativo quest’anno, come se parlare di statuette e di vittorie fosse un po’ superficiale, quasi inelegante. Perché sarà il primo Oscar dell’era post-Weinstein. E a sei mesi dalle accuse al produttore di essere un predatore sessuale, il dibattito sugli abusi e sul ruolo delle donne, nel cinema e in ogni settore, è sempre più intenso. Le attrici non arriveranno tutte in nero come ai Golden Globes, ma i vincitori parleranno di #MeToo, di Times’s Up e dei movimenti sorti per difendere le vittime di violenza per arrivare al traguardo della parità tra i sessi.
A partire dalla sua prima vittoria nel 1990 con Il mio piede sinistro, i film prodotti e distribuiti dalla Weinstein Company hanno raccolto 341 nominations e 81 statuette. Tra i titoli: Pulp Fiction, Mediterraneo, Il paziente inglese, Shakespeare in Love, Chicago, L’aviatore, The Artist, per finire con Ennio Morricone e la colonna sonora di The Hateful Eight. Una presenza dominante quella di Weinstein, oltre che una parte integrante della storia degli Academy Awards. Quest’anno ovviamente non ci sarà fisicamente, ma continuerà a occupare la conversazione, proprio mentre ciò che resta della Weinstein Company ha respinto pochi giorni fa l’offerta di una cordata che voleva acquistarla. Ora il destino più probabile sembra la bancarotta.
E lui, nel frattempo, che cosa fa? Dove è Harvey Weinstein? Da ottobre scorso non si è più visto nella sua New York e negli uffici in Greenwich Street a Tribeca. Non viene più a Los Angeles, dove il Peninsula Hotel era diventato la sua seconda casa. E se ne sta in Arizona. All’apparenza, un esilio dorato. Per mesi ha affittato un appartamento all’Optima Sonoran Village, un lussuoso complesso residenziale vicino a Scottsdale. A volte esibendo parrucche che lo fanno biondo, spesso con cappellini da sci e occhiali scuri, lo si intravede da Elements, un ristorante della Camelback Mountain Resort & Spa, oppure da Chestnut Fine Foods.
Ha frequentato dei centri di riabilitazione per vincere le dipendenze come The Maedows, dove un trattamento può costare decine di migliaia di dollari e dove tra gli ospiti più recenti c’è stato anche Kevin Spacey. Vede un ipnoterapista. Ha anche assoldato una società specializzata in «gestione delle crisi», la Sitrick and Co. Le crisi da affrontare sono molteplici e su molti fronti. Le donne che hanno accusato Weinstein di abuso e di violenza sessuale sono un’ottantina. Lui nega, anche se ha espresso rimorso per aver causato dolore. Ci sono cause e indagini in corso a New York e Los Angeles, dove rischia l’arresto, oltre che a Londra. A questo si aggiungono le ex mogli. La prima, Eva Chilton, ha espresso a un tribunale di New York il timore che Weinstein smetta di pagare gli alimenti per le tre figlie e ha chiesto un deposito di cinque milioni di dollari. La seconda, Georgina Chapman, sta ottenendo il divorzio. Ci sono di mezzo altri due figli e anche qui milioni di dollari, oltre che costi legali che alcuni stimano in oltre mezzo milione ogni mese.
Insomma, un esilio dorato solo all’apparenza. E poi, domenica, Weinstein subirà l’umiliazione di dover sentire il suo nome ripetuto in continuazione: non più come vincitore applaudito e rispettato, ma come simbolo del Male.