Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 28 Mercoledì calendario

Muore di freddo a Milano il clochard chiamato Max lo chef

Non ci sono fiori o biglietti scritti a penna sotto i portici di via Vittor Pisani a Milano. Solo una candela rossa che qualcuno ha lasciato nel punto esatto in cui, nella notte tra lunedì e martedì, è morto Max. Enrico Massimiliano Rovelli, 47 anni, era uno dei tanti senzatetto che rifiutano l’ospitalità offerta dai dormitori del comune, nonostante il freddo di questi giorni. Un irriducibile in strada da anni, come almeno altri duecento che, nonostante le temperature polari della notte, proprio non ne vogliono sapere. «Siamo molto preoccupati per quelli che anche in questi giorni non accettano l’accoglienza», dice l’assessore comunale alle politiche sociali Pierfrancesco Majorino «Ogni notte diamo ospitalità a oltre 2.400 senzatetto, mentre sono circa 250 i posti liberi al momento. Ma molti clochard non vogliono l’aiuto dei servizi sociali e delle associazioni».
D’inverno il numero dei senzatetto che si riversano a Milano aumenta perchè «almeno la metà arrivano da città che non sono attrezzate e non offrono la stessa ospitalità», conclude l’assessore. Per un piano freddo che finora sembra aver funzionato: era infatti da tre anni che in città non moriva nessuno.
L’ ultimo domicilio conosciuto di “Max” era a Paderno Dugnano, dove vivono la ex moglie Katia e il figlio di 23 anni. Con la famiglia, però, i rapporti non erano buoni da tempo, a causa dei suoi problemi di alcolismo. «Faceva lo chef, e aveva lavorato in alberghi e ristoranti, anche di lusso – ha raccontato all’Ansa Marco, un senzatetto che frequenta la piazza antistante la stazione –. E guadagnava anche bene».
Ieri notte alle 21.30 sotto i portici sono arrivati gli operatori dell’unità di strada della Fondazione Arca, lui non c’era. Lo hanno visto solo in tarda serata: avvolto come sempre nelle coperte di lana pesante, tra i cartoni sul marmo gelido, ha preso sonno accanto al portone di vetro del civico 22, un palazzo di otto piani occupato da studi notarili e finanziarie. Martedì, come ogni mattina, Mario, il custode, è arrivato alle 7. Quando, poco dopo le 7.30, «tutti quei poveretti si erano alzati, ci siamo accorti che uno di loro era rimasto a terra, nel suo rifugio di fortuna. Non si muoveva».
Max aveva provato a combattere il freddo con l’alcol e le coperte. In testa aveva un cappello di lana e una felpa. Gli operatori del 118 che, poco dopo le 8, sono intervenuti non hanno potuto fare altro che dichiarane la morte per arresto cardiaco. La causa più plausibile sembra la temperatura che nella notte era arrivata a meno quattro gradi.
Non è facile sapere quale «mostro» Max abbia combattuto per tutta la vita. Cosa lo abbia spinto all’alcol prima e in strada poi. Un senzatetto suo amico racconta che «prima faceva lo chef, guadagnava bene e aveva lavorato in alberghi e ristoranti, anche di lusso. Poi, a causa dei problemi familiari, era andato in depressione e aveva iniziato a bere, perdendo tutto». Una versione della sua vita che però non ha trovato conferme ufficiali. Max aveva dormito nel mezzanino più riparato della Centrale solo nel 2015. Poi aveva scelto la strada. Che l’altra notte lo ha ucciso.