27 febbraio 2018
APPUNTI PER GAZZETTA SUL DIESEL
REPUBBLICA.IT –
Roma, dal 2024, caccerà i diesel dal centro storico. Una decisione lampo, arrivata subito dopo la clamorosa notizia che le città tedesche possono ricorrere alla misura del divieto di circolazione delle auto a gasolio per migliorare la qualità dell’aria. Una decisione, quella tedesca, che va contro la costituzione - l’omologazione dei veicoli non riguarda la politica ma i tecnici delle motorizzazioni e quindi dei Ministeri dei Trasporti - ma che per essere approvata è stata sottoposta al giudizio del tribunale amministrativo federale di Lipsia, che ha respinto il ricorso dei Land del Baden-Wuerttemberg e del Nord Reno-Westfalia secondo cui la materia non sarebbe di competenza comunale ma federale. Di diverso avviso i giudici amministrativi, che con la sentenza pronunciata oggi aprono la strada a restrizioni locali sui motori diesel.
Il tema è infatti caldo perché i vari tipi di motori, (diesel, benzina, elettrici, a metano a Gpl o ad alimentazione ibrida) sono sottoposti ad omologazioni ben precise e quindi poi catalogati secondo determinate normative. L’ultima, l’Euro 6, sancisce il rispetto della legge in fatto di emissioni, ed è rispettata ovviamente sia dai diesel che dei benzina: i sindaci e i comuni che bloccano le vetture a gasolio quindi entrano nel merito tecnico dell’omologazione (e non potrebbero), da qui le polemiche di costituzionalità.
Ma la decisione presa a Lipsia apre scenari mai visti prima e potrebbe avere ripercussioni in tempi brevi in città come Stoccarda e Dusseldorf, le prime dove ci sono a questo punto le condizioni per imporre lo stop ai diesel. E invia allo stesso tempo un segnale molto forte non solo alla Germania e al suo governo ma all’industria automobilistica mondiale, già sotto pressione per lo scandalo delle emissioni truccate.
Il primo sindaco a cavalcare l’onda come dicevamo è stato quello di Roma che ha subito annunciato di cacciare le diesel dal centro di Roma a partire dal 2024.
E’ questo infatti l’annuncio fatto da Virginia Raggi nel corso del summit C40 Women 4 Climate. "Roma ha deciso di impegnarsi in prima linea e a Citta’ del Messico, durante il Convegno C40, ho annunciato che, a partire dal 2024, nel centro della citta’ di Roma sara’ vietato l’uso di veicoli privati alimentati a diesel", scrive la Raggi sul suo profilo Facebook. "I cambiamenti climatici - aggiunge - stanno modificando le nostre abitudini di vita. Le nostre citta’ rischiano di trovarsi di fronte a sfide inattese. Assistiamo sempre piu’ spesso a fenomeni estremi: siccita’ per lunghi periodi, come sta avvenendo nel Lazio; precipitazioni che in un giorno possono riversare sul terreno la pioggia di un mese intero; o anche nevicate inusuali a bassa quota come quelle che in questi giorni stanno investendo l’Italia".
Un segnale di inversione politica che prende in contropiede molti costruttori, come Mazda e Mercedes, ad esempio che avevano lasciato ancora ampi spazi di sviluppo al diesel pur puntanto ovviamente anche sull’elettrico. Ma un segnale invece previsto da Toyota e FCA che per prime hanno preso le distanze dalla tecnologia dei propulsori a gasolio.
La decisione potrebbe avere ripercussioni anche in Italia e in alttri Comuni che potrebbero seguire l’esempio romano, vanificando di fatto la politica portata avanti dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio che da sempre ha sostenuto la famosa "neutralità" tecnica del Governo: "Non spingiamo - ha spiegato più volte Delrio - l’elettrico, il diesel, il metano o l’idrogeno perché noi puntiamo a far rispettare norme sempre più severe in fatto di emissioni". La posizione del Governo Italiano era la stessa delle UE: non ci si schiera con una marca piuttosto che con un’altra. Ma con la decisione del tribunale amministrativo federale di Lipsia cambia tutto: ora si entra nel merito tecnico delle diverse motorizzazioni, in barba alle omologazioni Euro6 o le future Euro7.
I costruttori sono avvisati. E con loro anche i sindacati perché si stima che questa crociata anti-diesel possa portare un vero e proprio massacro di tagli nelle fabbriche. Volkswagen, la marca che ha annunciato il piano più massiccio di riconversione all’elettrico (entro la fine del 2022 più di 34 miliardi di euro confluiranno nello sviluppo della mobilità elettrica, della guida autonoma, di nuovi servizi di mobilità e nella digitalizzazione) ha già annunciato il taglio di 30 mila posti entro il 2025. Ora vediamo cosa faranno le altre marche.
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GIUSEPPE GAETANO, CORRIERE.IT –
I comuni tedeschi potranno imporre il divieto alla circolazione dei veicoli diesel più inquinanti, senza la necessità di una legge nazionale: l’ha deciso la Corte amministrativa federale di Lipsia, che ha respinto il ricorso dei Land del Baden-Wuerttemberg e del Nord Reno-Westfalia, secondo cui la materia non era di competenza comunale ma bisognosa di una nuova base normativa a livello federale. La sentenza «non riguarderà tutti gli automobilisti» e interesserà solo «alcune città in cui bisogna agire di più» assicura la cancelliera Angela Merkel: «Il governo discuterà con le regioni e le municipalità come procedere».
La serie di ricorsi
Gli esecutivi regionali avevano impugnato il verdetto dei tribunali di Duesseldorf e Stoccarda, che , in prima istanza, avevano stabilito che i piani delle città contro l’inquinamento dell’aria dovessero essere inaspriti, arrivando fino al blocco totale del traffico. Di diverso avviso però i giudici amministrativi, che con la sentenza pronunciata oggi aprono la strada a restrizioni locali sui motori diesel. Nel dispositivo si chiede però alle città di Duesseldorf e Stoccarda di «verificare la proporzionalità dei provvedimenti», che dovranno essere imposti in maniera graduale (a Stoccarda il bando potrebbe essere applicato da settembre) e garantire eventuali eccezioni in base alla figura del conducente e alla tipologia di veicolo (coinvolgendo al momento soltanto le auto di categoria inferiore a Euro6). «Delle perdite dovranno essere accettate» risponde il tribunale agli utenti della strada certi che adesso il valore dei diesel crolli verticalmente, dopo che il loro mercato era già calato del 30% l’anno scorso in Germania. Da anni numerose città tedesche non rispettano i limiti dell’inquinamento atmosferico e l’Ue ha minacciato la Germania di un procedimento davanti alla Corte europea; Berlino aveva reagito, inviando una lettera a Bruxelles con cui lanciava la proposta di test in 5 città sui trasporti pubblici gratuiti, proprio per evitare il veto sul diesel.
Le reazioni in Germania
Se la Merkel tende a minimizzare la portata del provvedimento, il ministro dell’ambiente tedesco si spinge più in là, affermando che il divieto di circolazione alle auto diesel più inquinanti è in realtà «evitabile»: «Il giudice non ha emanato alcun divieto - spiega la socialdemocratica Barbara Hendricks - ma fatto chiarezza sulla legge, il mio obiettivo è quello di evitare che tali divieti entrino in vigore». Decidere come ridurre la quantità di particelle fini e inquinanti immessi in atmosfera, con altri mezzi che non siano lo stop alla viabilità, sarà dunque lo scoglio su cui probabilmente si scontreranno nei prossimi mesi enti locali ed esecutivo, insieme alla Commissione Europea, alle case automobilistiche e alle associazioni di automobilisti ed ecologisti. «E’ un grande giorno per la Germania» esulta al contrario Deutsche Umwelthilfe, il gruppo ambientalista che ha denunciato le due città tedesche recalcitranti, auspicando ora un “effetto domino” nel resto d’Europa. Il tema è diventato scottante, nell’opinione pubblica, soprattutto da quando la più grande casa automobilistica del mondo, la Volkswagen, ha ammesso nel 2015 la manipolazione di 11 milioni di veicoli in tutto il mondo per ingannare i test anti Co2 richiesti dalla normativa europea.
Le reazioni in Italia
«E’ la dimostrazione che se le autorità non hanno la volontà politica di proteggere la salute dei cittadini, portare avanti azioni legali è uno strumento efficace per difendere i diritti» dichiara da Lipsia da Ugo Taddei, legale del pool di ClientEarth che con il gruppo Duh ha portato il caso alla Corte Suprema, annunciando azioni simili anche nei tribunali italiani. Di «segnale forte per le nostre amministrazioni» e di «un precedente importante a livello comunitario» parla anche la presidente della onlus Cittadini per l’Aria, Anna Gerometta, che ha promosso in Lombardia un manifesto per l’aria pulita, chiedendo ai candidati alle regionali di sostenere le proposte contenute perché le misure adottate finora per ridurre l’emissione di gas di scarico inquinanti si sono rivelate «insufficienti». Un altro duro colpo ai motori diesel era arrivato anche pochi giorni fa, con le notizie sull’intenzione di Fiat Chrysler di interromperne la produzione a partire dal 2022. Una strada intrapresa anche da Toyota e Porsche a conferma che i diesel non sono più un affare che copre le spese, non solo dal punto di vista sanitario, ma anche da quello economico.
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AVVENIRE –
La svolta è annunciata, anche se le conseguenze potrebbero essere molto impegnative in un quadro relativo alle emissioni già estremamente delicato. Secondo il Financial Times, il Gruppo Fiat Chrysler Automobiles avrebbe intenzione di non produrre più motori diesel per le proprie vetture a partire dal 2022, lasciandoli come opzione solamente per i veicoli commerciali. Fca ufficialmente non conferma, ma è probabile, come sostiene il quotidiano finanziario della City, che la decisione possa essere annunciata da Sergio Marchionne il primo giugno prossimo, in occasione della presentazione del nuovo piano industriale.
Evidenti le ragioni alla base della possibile svolta, collegata allo scandalo dieselgate della Volkswagen. La domanda per motorizzazioni a gasolio sta subendo un calo in tutta Europa (-8% le vendite nel 2017 secondo i dati di Jato Dynamics) con la sola eccezione dell’Italia, dove la flessione è stata contenuta in un solo pun- to percentuale e che con il 56,7% resta l’unico mercato di rilievo dove il diesel conserva la maggioranza. Ma l’opposizione politica ai motori a gasolio è ormai chiara, come i piani di grandi città per vietarli. Parigi, Madrid e Atene hanno già annunciato la messa al bando dal 2025, ma ci sono Paesi come la Norvegia che per quella data intendono vietare tutti i motori a combustione. Oltre ai problemi di inquinamento si aggiungono i costi crescenti per adeguare la tecnologia ai sempre più stringenti requisiti sulle emissioni imposti dalle autorità europee. L’annuncio di Fca rimanderebbe al 2022 l’addio a queste motorizzazioni che Toyota ha già attuato da gennaio sul mercato italiano, mentre anche per Peugeot e Volvo sembra solo una questione di tempo. Per Fiat-Chrysler non si tratterebbe ovviamente di una scelta indolore, sia per la sua leadership ultradecennale nel segmento, in particolare nelle basse cilindrate, sia per il peso del gasolio sulle sue vendite: oggi sono equipaggiate con motori diesel il 40,6% delle vetture vendute dal Gruppo in Europa, una percentuale addirittura in leggera crescita rispetto al 40,4% del 2016. La notizia ha destato la preoccupazione dei sindacati. Sono due infatti gli stabilimenti Fca in Italia dedicati alle motorizzazioni diesel, Fca Vm Motori e Fca Pratola Serra (Avellino), che complessivamente occupano circa 3.000 lavoratori. Le incognite su questa scelta, soprattutto se effettuata in un arco temporale così ridotto, sono dunque diverse. Anche perché i motori diesel – più inquinanti degli altri relativamente a NOx e PM10 – se si prende in considerazione la sola CO2, producono emissioni inferiori di circa il 10-15% di quelli a benzina. Un dato di importanza essenziale per i costruttori, che senza gasolio si troverebbero nella probabile impossibilità di rispettare i limiti di CO2 imposti dall’Europa, specie quelli ancora più bassi (95 grammi al km sulla media della loro gamma) che entreranno in vigore nel 2021. Secondo una recente ricerca effettuata da P.A Consulting, solo quattro Gruppi (Volvo, Toyota, Renault-Nissan e Jaguar-Land Rover) sarebbero in grado di rientrare in questi limiti. La situazione più preoccupante sarebbe proprio quella di Fca, che rischia uno “sforamento” medio della flotta pari a 10,1 g/km che corrisponderebbe ad una multa pari a 1,3 miliardi di euro. Ma anche Ford, Daim-ler, Volkswagen, BMW, Huyndai, Kia e il Gruppo PSAOpel andrebbero incontro a sanzioni molto onerose.
Fiat ha dalla sua una forte potenzialità sui propulsori a gas, fiore all’occhiello della produzione interna, sui quali potrebbe virare ancora più decisamente, mentre sembra molto più problematica l’alternativa elettrica, in generale per la inconsistente marginalità del mercato che rappresenta e in particolare per il ritardo e la scarsa convinzione con cui il Gruppo italo-statunitense ha investito in questo segmento.
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AGI.IT –
In principio fu il caso Dieselgate, costato a Volskwagen miliardi di dollari di sanzioni e processi che hanno sfiorato i contorni di uno scontro diplomatico con gli Usa. A inchiodare il costruttore tedesco gli ormai famosi “defeat device”, software installati in 11 milioni di vetture che consentivano ai motori diesel di emettere livelli di gas inquinanti inferiori a quelli effettivi quando erano sottoposti a test di rilevamento. Lo scandalo si allargò presto ad altre case automobilistiche, da Renault a Fca (ma in quest’ultimo caso – va sottolineato - non ci sarebbe stato dolo dietro il mancato rispetto dei limiti). E proprio Fca, secondo il Financial Times, nel 2022 smetterà di produrre automobili diesel. Un’indiscrezione che l’azienda non ha commentato ma che, se confermata, sarebbe solo un nuovo chiodo nella bara di una tecnologia che un tempo veniva percepita come un’alternativa meno inquinante ai motori a benzina e oggi rischia di essere bandita dalle strade di sempre più Paesi.
La stretta dei governi europeiIl caso che ha coinvolto Volkswagen ha ovviamente avuto un impatto diretto sulle decisioni dei consumatori ma il brusco declino del diesel non è legato solo a un mutamento delle preferenze e al conseguente calo della domanda. Non è, insomma, solo questione di immagine e di una maggiore consapevolezza ambientale degli acquirenti. Il ’dieselgate’ ha spinto molti governi a tagliare gli incentivi per l’utilizzo di un carburante che aveva ormai perso il ruolo di alternativa più ecologica alla benzina, tanto che alcuni Paesi (Francia, Gran Bretagna, Norvegia, India) hanno annunciato piani per vietare del tutto in futuro i motori diesel, e presto la stessa Germania potrebbe seguire la scia. Non solo, come riporta L’Automobile, le amministrazioni di grandi capitali come Londra stanno domandando ai costruttori di contribuire economicamente ai loro piani per migliorare della qualità dell’aria, a mo’ di risarcimento per aver riempito le strade di auto molto più inquinanti di quanto dichiarato. A Parigi, invece, dal 2030 le vetture diesel non potranno circolare più, mentre Milano ha già detto addio ai bus diesel.
Se il clima politico non appare favorevole, già nell’immediato la stretta sugli incentivi e l’irrigidimento degli standard ambientali hanno reso economicamente sempre più costosa la produzione di veicoli diesel, né ha senso continuare a investire per rinnovare una tecnologia che potrebbe essere bandita. Ai costruttori non resta quindi, per il futuro, che puntare sempre di più sui motori ibridi o elettrici.
Le prospettive del mercatoSe in Usa il diesel ha una quota frazionale del mercato dell’auto (meno dell’1%) e sopravvive solo nel settore dei furgoncini, in Europa nel 2016 più della metà delle immatricolazioni riguardavano auto diesel. Lo scorso anno, però, la quota di mercato è scesa dell’8%, toccando il 43,8%, una percentuale che - secondo Bloomberg - è destinata a scendere al 30% circa entro il 2020. I nuovi standard europei sulle emissioni, secondo alcune stime, faranno crescere del 20% il costo dello sviluppo di vetture diesel, un costo che si rifletterà sui prezzi di listino, rendendo l’acquisto sempre meno interessante per i consumatori. L’alternativa? L’auto elettrica che non solo gode di costi di produzione sempre più bassi ma è destinata ad essere sostenuta da generosi incentivi pubblici.
Secondo uno studio di Boston Consulting Group, i piani sempre più severi contro l’inquinamento, i prezzi delle batterie delle auto elettriche per chilowattora si attesteranno tra i 70 e i 90 euro nel 2020 e tra i 60 e gli 80 euro nel 2030. “L’investimento su un veicolo “green” porterà alla diminuzione sulle strade dei mezzi a combustione interna: i numeri parlano, per esempio, del diesel che passerà dal 48% al 36% nel 2020, a causa dei costi sempre più alti dovuti agli investimenti necessari a non sforare i limiti di emissioni”, sottolinea ancora L’Automobile, “il mercato principale per i veicoli elettrici rimarrà ancora la Cina, specie se si confermerà l’attuale contingenza con prezzi bassi per l’elettricità ed elevati per il gas. In Europa, invece, la scelta di motori tradizionali proseguirà fino al 2025, soprattutto per l’elevato costo dell’elettricità. A partire dal 2030 sul vecchio continente il 17% delle auto sarà totalmente elettrico e il 33% ibrido. Simile la situazione negli Usa”.
L’eccezione italianaIn questo contesto, l’Italia appare in controtendenza. Nella penisola il diesel conta ancora per il 56% del mercato dell’auto. “Ciò perché il governo italiano non ha ancora assunto una posizione chiara contro il diesel e perché l’Italia è il terzo Paese europeo dove la benzina costa di più”, ha spiegato al Financial Times un analista di Jato Dynamics, Felipe Munoz. Esposta come è al mercato italiano, che conta per oltre metà del suo fatturato europeo, Fca è quindi l’unico grande costruttore europeo che lo scorso anno ha visto aumentare le auto diesel vendute, dal 40,4% del 2016 al 40,6%. Ciò rende ancora più interessanti i rumor che vogliono Fca tra le aziende che tirano la volata per l’addio al diesel. Ma la conferma si avrà solo a giugno, quando il gruppo guidato da Marchionne diffonderà il nuovo piano quadriennale.
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REPUBBLICA.IT –Le indiscrezioni sull’abbandono del diesel da parte di Fca allarmano i sindacati. Ferdinando Uliano della Fim ricorda che cessare la produzione dei motori a gasolio «significa mettere a rischio il lavoro di 3 mila persone in Italia» e chiede di «conoscere quali sono le produzioni alternative che Fca intende realizzare». Una risposta che arriverà a giugno quando Marchionne illustrerà il piano industriale. È probabile che i programmi prevedano il passaggio graduale alla produzione di motori ibridi, come già sta facendo Marelli a Bari per i modelli Chrysler. La vicenda è comunque istruttiva. Perché dimostra che quando passa dai salotti e dai convegni alla realtà, qualsiasi innovazione, anche la più virtuosa, rischia di fare vittime. E dunque va gestita con cura e attenzione.
Lo sanno bene i 1.800 dipendenti di Pratola Serra, in provincia di Avellino, che realizzano gran parte dei diesel del gruppo Fca. Un po’ più tranquille sono le1.200 tute blu di Cento perché i loro motori diesel sono montati sui pick-up del marchio Ram. Che sono veicoli commerciali e soprattutto sono venduti in Usa. Dove il diesel dei camioncini è ben accetto.