la Repubblica, 26 febbraio 2018
Letizia è cresciuta “Ho odiato il tutù voglio Tokyo 2020”
Paternoster è la promessa del ciclismo su pista e a 18 anni fa il suo esordio da mercoledì ai Mondiali assoluti «Battevo i ragazzini, Sofia Goggia mi ha dato grande carica». La bambina che non voleva danzare ha spalancato gli occhi sul mondo. È al suo primo Mondiale seniores su pista Letizia Paternoster, da mercoledì ad Apeldoorn, Olanda, nel velodromo da cui partì la rincorsa di Vincenzo Nibali all’epico Giro 2016. 18 anni, papà australiano e una cameretta già piena di medaglie: 5 ori iridati juniores e 8 Europei, più il titolo continentale senior nell’inseguimento a squadre. Le radici tra i meleti di un paesello trentino che si chiama Revò.
«Con l’accento sulla o. Vicino Livo, il paese di Gianni Moscon. Ci alleniamo insieme. Ci conosciamo da tanti anni».
Si racconta che da allieva lei battesse i suoi coetanei maschi.
«Sì, è capitato, in gare su strada, e certo non avrò fatto passare loro delle belle serate, battuti da una ragazzina...».
La prima bici prestissimo.
«Due anni, mio padre adora la bici ed è un grande amico di Maurizio Fondriest. Mia madre mi avrebbe voluto danzatrice classica, ma con il tutù davvero non mi vedevo».
Il primo assaggio di una pista?
«A Mori, non lontano da casa. Ho avuto la fortuna di crescere in una regione che vuole bene al ciclismo».
Da junior ha vinto tanto, e avrà 19 anni a luglio. Millennial mancata, per qualche mese.
«Ho corso veloce, il tempo non mi è stato dietro. E devo ringraziare Dino Salvoldi, il ct della nazionale, che ha fatto crescere un grande gruppo».
Tredici convocate per Apeldoorn, la squadra più numerosa.
«Ora siamo vicino Düsseldorf in ritiro, è divertente, abbiamo molto tempo per fare gruppo, conoscerci, ascoltiamo musica assieme».
A livello femminile siamo il movimento guida al mondo, ma abbiamo un velodromo solo, Montichiari, e ci piove dentro.
«Il problema è serio, anche per questo il ct ha scelto la Germania, un velodromo non fantastico ma sufficiente per i lavori degli ultimi giorni. Restiamo concentrate sull’obiettivo. Io ne ho tre».
Tre gare diversissime in tre giorni: l’inseguimento a squadre, la corsa a punti e la Madison. La preferita?
«Non saprei scegliere, ma una cosa posso dirla: in pista mi diverto moltissimo e non ho paura di nulla».
Su strada è diverso?
«Io sono nata come stradista, quest’anno farò il mio esordio nella categoria élite con la maglia della Astana, e a fine carriera vorrei aver vinto corse come il Fiandre. Amo gli strappi, lo dimostra anche il Mondiale su strada jrs di Bergen (oro Pirrone, bronzo Paternoster con fantastico lavoro di squadra) ma una salita lunga non l’ho ancora provata, magari ho anche resistenza. È presto, è tutto davanti a me ancora».
Qualche giorno fa è venuta a trovarvi Claudia Cretti.
«È stato emozionante vedere i suoi miglioramenti. Ci conosciamo da tanti anni, il giorno del suo incidente sono stata malissimo. Le vogliamo un gran bene».
Crede che il ciclismo femminile goda della giusta considerazione?
«No, siamo indietro, come accade troppo spesso alle donne. E gli sport che non siano il calcio in Italia hanno bisogno di personaggi trainanti. Alla Sofia Goggia».
L’ha emozionata la vittoria coreana di Sofia?
«Da morire, mi dà una carica pazzesca. Anche perché lei ha realizzato un sogno, quello olimpico, che è anche il mio. Questo Mondiale è una tappa verso Tokyo 2020. È là che i miei pensieri vanno, continuamente».
Prima c’è scuola però, il diploma a giugno in ragioneria: come va con gli studi?
«Provo a organizzarmi tra un allenamento e l’altro, i professori sono fantastici, ho un programma personalizzato, e si va avanti».
Il suo viso solare non è sfuggito alla tv e alle riviste. Come si vive la fama a 18 anni?
«Oh, io lo faccio con naturalezza, non sono timida di natura, ma nemmeno amo troppo essere al centro dell’attenzione. Mi piace piacere. Però un fidanzato ancora non c’è. Non ho trovato la persona giusta. Si dice così, no?»