Agi, 27 febbraio 2018
È davvero finita l’epoca del diesel?
In principio fu il caso Dieselgate, costato a Volskwagen miliardi di dollari di sanzioni e processi che hanno sfiorato i contorni di uno scontro diplomatico con gli Usa. A inchiodare il costruttore tedesco gli ormai famosi “defeat device”, software installati in 11 milioni di vetture che consentivano ai motori diesel di emettere livelli di gas inquinanti inferiori a quelli effettivi quando erano sottoposti a test di rilevamento. Lo scandalo si allargò presto ad altre case automobilistiche, da Renault a Fca (ma in quest’ultimo caso – va sottolineato - non ci sarebbe stato dolo dietro il mancato rispetto dei limiti). E proprio Fca, secondo il Financial Times, nel 2022 smetterà di produrre automobili diesel. Un’indiscrezione che l’azienda non ha commentato ma che, se confermata, sarebbe solo un nuovo chiodo nella bara di una tecnologia che un tempo veniva percepita come un’alternativa meno inquinante ai motori a benzina e oggi rischia di essere bandita dalle strade di sempre più Paesi.
«Negli Usa il diesel è morto»Lo scorso anno Toyota aveva anticipato, sempre al Financial Times, l’intenzione di non produrre più nuovi modelli diesel delle proprio vetture. La settimana scorsa fu il turno di Porsche, controllata di Volkswagen, a comunicare il probabile addio al diesel. E a gennaio un altro marchio tedesco, Mercedes, aveva annunciato che non avrebbe più venduto veicoli diesel negli Stati Uniti, salvo il furgoncino Sprinter. "Negli Usa il diesel è di fatto morto" fu il titolo tranchantscelto dal portale specializzato Motor 1. E la stessa Daimler, la casa madre di Mercedes, sarebbe coinvolta in una serie di illeciti analoghi a quelli commessi da Volkswagen, a partire dai software fraudolenti.
La stretta dei governi europei
Il caso che ha coinvolto Volkswagen ha ovviamente avuto un impatto diretto sulle decisioni dei consumatori ma il brusco declino del diesel non è legato solo a un mutamento delle preferenze e al conseguente calo della domanda. Non è, insomma, solo questione di immagine e di una maggiore consapevolezza ambientale degli acquirenti. Il ’dieselgate’ ha spinto molti governi a tagliare gli incentivi per l’utilizzo di un carburante che aveva ormai perso il ruolo di alternativa più ecologica alla benzina, tanto che alcuni Paesi (Francia, Gran Bretagna, Norvegia, India) hanno annunciato piani per vietare del tutto in futuro i motori diesel, e presto la stessa Germania potrebbe seguire la scia. Non solo, come riporta L’Automobile, le amministrazioni di grandi capitali come Londra stanno domandando ai costruttori di contribuire economicamente ai loro piani per migliorare della qualità dell’aria, a mo’ di risarcimento per aver riempito le strade di auto molto più inquinanti di quanto dichiarato. A Parigi, invece, dal 2030 le vetture diesel non potranno circolare più, mentre Milano ha già detto addio ai bus diesel.
Se il clima politico non appare favorevole, già nell’immediato la stretta sugli incentivi e l’irrigidimento degli standard ambientali hanno reso economicamente sempre più costosa la produzione di veicoli diesel, né ha senso continuare a investire per rinnovare una tecnologia che potrebbe essere bandita. Ai costruttori non resta quindi, per il futuro, che puntare sempre di più sui motori ibridi o elettrici.
Le prospettive del mercato
Se in Usa il diesel ha una quota frazionale del mercato dell’auto (meno dell’1%) e sopravvive solo nel settore dei furgoncini, in Europa nel 2016 più della metà delle immatricolazioni riguardavano auto diesel. Lo scorso anno, però, la quota di mercato è scesa dell’8%, toccando il 43,8%, una percentuale che - secondo Bloomberg - è destinata a scendere al 30% circa entro il 2020. I nuovi standard europei sulle emissioni, secondo alcune stime, faranno crescere del 20% il costo dello sviluppo di vetture diesel, un costo che si rifletterà sui prezzi di listino, rendendo l’acquisto sempre meno interessante per i consumatori. L’alternativa? L’auto elettrica che non solo gode di costi di produzione sempre più bassi ma è destinata ad essere sostenuta da generosi incentivi pubblici.
Secondo uno studio di Boston Consulting Group, i piani sempre più severi contro l’inquinamento, i prezzi delle batterie delle auto elettriche per chilowattora si attesteranno tra i 70 e i 90 euro nel 2020 e tra i 60 e gli 80 euro nel 2030. “L’investimento su un veicolo “green” porterà alla diminuzione sulle strade dei mezzi a combustione interna: i numeri parlano, per esempio, del diesel che passerà dal 48% al 36% nel 2020, a causa dei costi sempre più alti dovuti agli investimenti necessari a non sforare i limiti di emissioni”, sottolinea ancora L’Automobile, “il mercato principale per i veicoli elettrici rimarrà ancora la Cina, specie se si confermerà l’attuale contingenza con prezzi bassi per l’elettricità ed elevati per il gas. In Europa, invece, la scelta di motori tradizionali proseguirà fino al 2025, soprattutto per l’elevato costo dell’elettricità. A partire dal 2030 sul vecchio continente il 17% delle auto sarà totalmente elettrico e il 33% ibrido. Simile la situazione negli Usa”.
L’eccezione italiana
In questo contesto, l’Italia appare in controtendenza. Nella penisola il diesel conta ancora per il 56% del mercato dell’auto. “Ciò perché il governo italiano non ha ancora assunto una posizione chiara contro il diesel e perché l’Italia è il terzo Paese europeo dove la benzina costa di più”, ha spiegato al Financial Times un analista di Jato Dynamics, Felipe Munoz. Esposta come è al mercato italiano, che conta per oltre metà del suo fatturato europeo, Fca è quindi l’unico grande costruttore europeo che lo scorso anno ha visto aumentare le auto diesel vendute, dal 40,4% del 2016 al 40,6%. Ciò rende ancora più interessanti i rumor che vogliono Fca tra le aziende che tirano la volata per l’addio al diesel. Ma la conferma si avrà solo a giugno, quando il gruppo guidato da Marchionne diffonderà il nuovo piano quadriennale.