Susanna Turco per l’Espresso, 27 febbraio 2018
IL SUICIDIO DEL CAV - QUALCUNO AD ARCORE PENSA A GHEDINI COME PREMIER – L’AVVOCATO DI BERLUSCONI E’ DIVENTATO (SOTTOTRACCIA) PADRONE DI FORZA ITALIA: HA FATTO LE LISTE E SI PREPARA A GESTIRE LA PATTUGLIA DI PARLAMENTARI - LA RIVALITA' CON GIANNI LETTA. NICCOLO’: “GESTIRE LE CANDIDATURE? ASSOLUTAMENTE NO, SONO PARLAMENTARE, FACCIO L’AVVOCATO”. MA LO DICEVA 13 ANNI FA… -
È sopravvissuto a carrettate di situazioni imbarazzanti, ministri inadeguati, legittimi impedimenti, cene eleganti, processi, decadenze, traditori, olgettine, bunga bunga e altri mammiferi. È sopravvissuto, cosa ancora più incredibile, ai suoi stessi madornali errori. Alle leggi ad personam concepite sulla sua scrivania e squartate dalla Consulta, alla condanna del suo principale cliente, alle assurde scuse che continua a inventare per contentarlo. Ma adesso, forse perché davvero, come scrisse Danilo Dolci, «vince chi resiste alla nausea», eccolo ancora Niccolò Ghedini, in - diciamo - tutto il suo splendore. In Tribunale a Padova non lo vedono più, ma adesso in Forza Italia è lui il più potente di tutti, vicino a governare come non mai, possibile premier addirittura: e, se non lo farà, poco ci manca.
Più che ascendere lui - c’è da dire - gli è in verità decaduto il resto intorno: il Cavaliere diventato ex, il partito sminuzzato, le leggi che si rivoltano contro (come la Severino, che in origine proprio da Ghedini fu scritta), i denari a lumicino, una campagna elettorale che deve costare un decimo della precedente (54 milioni nel 2013, massimo 5 questa), perfino l’idea del futuro, che ormai è un residuato bellico buono appena per baloccare una mezz’ora attorno al ri-contratto con gli italiani a Porta a Porta . Comunque l’evoluzione naturale è compiuta: dopo il premier-imputato, mancava giusto che a guidare il partito fosse il suo avvocato.
C’è Ghedini, per dirne una, dietro l’intiepidirsi di B. verso le larghe intese: l’avvocato le vede come l’inferno in terra sin dai tempi di Monti, figurarsi ora che Pd e Fi fanno a stento una maggioranza. C’è Ghedini, che ha un debole per l’agricoltura e talvolta in paese a Santa Maria di Sala hanno visto in cima a un trattore, dietro l’incontro con la Coldiretti nel quale Berlusconi ha raccontato che mungeva le mucche a 8 anni nella speranza di ingraziarsi un mondo che la Lega ha sin qui coltivato , e lui no.
Vent’anni accanto a Berlusconi, dal ’98 a oggi a smontare leggi come fossero carburatori (è appassionato d’auto, lo fa davvero), a saltare sedute parlamentari fino a percentuali da record pur di studiare come il suo assistito potesse saltare le udienze, non hanno fatto che aguzzarne gli spigoli. L’incarnato lunare, quasi fosforescente. Il relativismo assoluto, predicato come una religione spontanea il cui verbo chiave è: scindere. Scindere il pubblico dal privato, il professionale dal personale, il preferibile dal preferito. Scindere l’affermazione dall’evidenza: la cosa che gli viene meglio. «Quello di giustizia è un concetto che varia, da me a lei, a un altro», disse una volta il suo maestro nell’avvocatura, Pietro Longo.
Mentre Berlusconi celebra da non candidato la sua probabilmente (mai dire mai) ultima campagna elettorale, mentre Forza Italia si riprende dalla collezione di «no grazie» ricevuti alle sue offerte di candidare civici (come Renzo Rosso e Giorgetto Giugiaro), Ghedini se ne va felice - candidato all’uninominale Senato a Bassano del Grappa con il paracadute proporzionale sempre in Veneto - nella campagna elettorale finta e invisibile che il Rosatellum consiglia. Niente manifesti coi faccioni, piazze ridotte al minimo (anche perché costano), farsi notare il meno possibile se non si è il leader.
Questa è l’indicazione che viene da Arcore: concentrare i voti sul partito, le croci sul simbolo di Forza Italia, non puntare sul voto dell’uninominale che poi va diviso con tutti gli alleati, cioè finisce per rafforzare anche la Lega. Consigli che vengono seguiti al nord - dove è stato appurato via sondaggio che il nome incide nel dieci per cento dei casi - ma pure per dire nel sud (dove, al contrario, il nome incide per l’ottanta per cento): in Campania, pure uno come Edmondo Cirielli sta facendo proprio così. Come viene naturale a Ghedini.
Fa un po’ strano che a prendere lo scettro del partito dell’Amore sia uno per il quale cinque persone in un salotto rappresentano una folla. E per molti versi il contrario di Berlusconi. Ma tant’è. Nel declino dell’impero - potere della resistenza, segreto dell’ascesa - l’avvocato è rimasto. Pronto a precipitarsi sempre, a qualsiasi ora, ad Arcore, a Palazzo Grazioli, a Villa Certosa, più solerte di chiunque, più affettuoso di chiunque.
Ufficialmente (ufficialmente) indifferente al potere, anzi recalcitrante, come si conviene al rampollo di una famiglia insignita del patriziato veneto nel Seicento, fiero della propria aristocratica destrorsa impopolarità (ha preso da Longo anche questo), con quell’aria di uno che sia sempre in procinto di andarsene - voleva fare l’agricoltore sui terreni di famiglia, vorrebbe fare il giudice alla Consulta e non il parlamentare, vabbè - con quell’aria perenne da io non c’ero e se c’ero dormivo, Ghedini ormai è tanto a suo agio nel berlusconismo da osare mettersi alla pari con Gianni Letta Sua Eminenza, quando non contendergli fette di potere (e dargli implicitamente dell’antiquato).
Qualcosa di talmente indicibile che l’avvocato si guarda bene persino dal pensare. Eppure: Ghedini ha spartito le quote dei collegi con gli alleati stando attento che fossero rispettate le proporzioni stabilite dai sondaggi (sì: si sono tragicamente affidati ai sondaggi), brigando affinché Forza Italia avesse il 44,5 per cento in ciascuna delle sei fasce di appetibilità di ciascun territorio (stabilite anche queste via sondaggio, da A1 collegio blindato a B3 collegio perso); Ghedini ha patrocinato la causa della cosiddetta “quarta gamba” come un democristiano qualsiasi; Ghedini ha fatto le liste caricandosi sulle mingherline spalle il ruolo che fu di Denis Verdini e prendendosi, oltre alle pressioni giunte fin sul cancello di casa, pure lo scontento esplicito di Berlusconi. Ghedini ha dovuto dire no ad alcuni nomi cui Letta teneva tanto: lui al caro Gianni, e non viceversa, perché Ghedini ufficialmente (ufficialmente) non ha nomi da portare.
L’avvocato - lo ha proclamato ai quattro venti - si tiene le mani libere: così che tutti possano esporgli questioni sapendo che non ha interessi personali da perorare. Furbissimo, eh. Una volpe. Ha fatto sapere che l’aver sponsorizzato anni fa uno che poi se ne è andato (Nico D’Ascola) gli ha tolto ogni fantasia di portare avanti gente. Che poi a Padova tutti gli appassionati di politica sappiano indicare i nomi della corrente Ghedini nei vari collegi è fatale, così come lo è la perenne negazione dell’evidenza di cui l’avvocato ha fatto un’arte nella quale pure, spesso, annega.
«Gestire le candidature? Assolutamente no, sono parlamentare, faccio l’avvocato, tempo un mese e trovo un sostituto. Sono un traghettatore». Così - già campione nella negazione - parlò nel lontano 2005, quando fu messo al posto di Giorgio Carollo a coordinare Fi nel Veneto. Poi, invece che un mese rimase 4 anni: il tempo necessario a ridurre Forza Italia, che fino ad allora aveva il doppio dei voti, alle stesse percentuali della Lega. Quando si dice le soddisfazioni politiche, la valanga del consenso. Nella sua Padova, il partito azzurro non si è mai ripreso dalla caduta del sindaco Massimo Bitonci, ed è ormai è ridotto al tre per cento.
Ma in fondo la storia è la stessa, nell’avvocatura prima, in politica poi. Resistere, resistere, resistere, come diceva Borrelli. Una capacità che, nel caso di Ghedini, affonda forse le radici nell’infanzia: quando, ultimogenito ma primo figlio maschio dopo tre femmine - in una famiglia di avvocati, da 400 anni - si trovò a contendere alla sorella Ippolita, 9 anni più grande, il posto a capotavola: lei non mollava, ma nemmeno lui mollò. Finì nella diarchia, appunto. Al desco, come nella vita.
Proprio per questo, che ora il suo nome sia finalmente affiorato in cima agli scenari sul dopo voto - dopo Antonio Tajani e il solito Gianni Letta - è come il riscatto di un’esistenza. Ghedini premier? Certo detta così, può far spavento. In soggettiva, solo l’ipotesi è una inconfessata consacrazione. La corona su due decenni percorsi al galoppo - andava a cavallo da ragazzo, tutte le estati, a Roma, scuola dei fratelli d’Inzeo ai Pratoni del Vivaro, al posto delle vacanze al mare la cui carenza tutt’ora s’intuisce - al galoppo attraverso le praterie più discutibili del berlusconismo. Al sole, ma soprattutto nell’ombra di decine di processi. Settantasette l’ultima provvisoria e variabile contabilità del Cavaliere (dieci anni fa era arrivato a contarne 106).
Adesso che ne sono rimasti soltanto sei, di processi, attraverso Ghedini passa quindi la politica. Soprattutto la necessaria armonia con Salvini. Nord con nord ci si capisce meglio che con salotti e salottieri romani. Non che il rapporto con la Lega non sia ogni giorno problematico, per la real casa di Arcore (anche se la ritardata presentazione del programma economico di Forza Italia è dipesa non da quello - come pure si è sospettato - ma dal fatto che Brunetta avesse scritto una specie di Treccani). E si sa che la faccenda della convivenza nel centrodestra diverrebbe «un notevole problema» nel caso di una vittoria. Anzi sarebbe «un casino bestiale» come usano dire nel partito quando calcolano l’ipotesi di una maggioranza con pochi voti di scarto.
Che la vittoria non sia dietro l’angolo però lo sanno tutti: persino l’ex Cavaliere ha dovuto constatare di non aver raggiunto il 25 per cento dei sondaggi a due settimane dal voto (si è fermato invece al 17,5, di qui l’iperattivismo mostrato in ultimo). Quel che si intravede all’orizzonte è un indicibile tramonto, al quale chi sa guardare lontano si attrezza. «Intanto c’è Salvini, prima o poi arriverà un Salvini anche da noi», è uno dei ragionamenti che si sentono fare. Certo, restano sempre le carte della riabilitazione di B. e il verdetto della Corte europea: «Ma ormai il presidente non è candidato, che se ne fa?» è la cinica risposta di corridoio.
Ghedini, intanto, cita nei vertici una delle sue trame preferite di Asimov. Terrestri contro alieni, nessuno riesce a prevalere per anni, le astronavi sono appesantite dai calcolatori: finché un terrestre non scopre la possibilità del calcolo a mente. L’astronave diventa leggera, maneggevole: e così vince. Con l’arma finale. Chissà a cosa pensa, l’avvocato, quando lo racconta.