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 2018  febbraio 27 Martedì calendario

Tra il Vaticano e gli stilisti sboccia la santa alleanza

Un dialogo spinoso che si consuma su un crinale aspro, a rischio caduta. La sacralità cattolica e la moda, il rito della vestizione nel doppio binario tra sfilata e processione. Il Vaticano per la prima volta si mischia e dialoga in una mostra che farà storia. Già nel 1983 The Vatican Collection si distinse come la terza mostra più visitata del Metropolitan Museum newyorkese. Ora c’è un intreccio più complesso e sdrucciolevole che riguarda anche l’uso che gli stilisti fanno delle immagini e dei simboli sacri. Gli uni e gli altri nell’esposizione Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination, corpi celesti e tanta immaginazione in un viaggio che prenderà il via il 7 maggio a New York, all’Anna Wintour Costume Center, alla Galleria Medievale del Met nella Fifth Avenue e al Met Cloister, ala distaccata del museo che raccoglie cinque antichi chiostri.
Tutto nasce dall’invito rivolto al Vaticano, che accetta, prende quaranta opere conservate nella Sacrestia della Cappella Sistina mai uscite prima dalle sacre stanze e le spedisce oltre Oceano. La mitra di Leone XIII ricamata in oro con diamanti, smeraldi e zaffiri; la tiara di Pio IX anche qui smeraldi, zaffiri, diamanti e perle; il piviale di Benedetto XV di seta bianca, ricamato con filo metallico d’oro, lamé d’oro e lustrini preziosi.
Il confronto sfrontato ma d’effetto esplode, testimone Anna Wintour silente come in effigie, nel vestito con la natività impressa di Lanvin, nella Coppa Magna dei cardinali su un abito di Valentino, nelle cattedrali di Monreale riprese da Dolce & Gabbana, nel culto degli angeli disegnati dalla Schiapparelli. Così si traccia il pellegrinaggio che ha il sapore delle Stazioni, bel risultato per il curatore Andrew Bolton, preso dal dialogo tematico d’attualità, «in un momento storico di razionalizzazione imperante che spinge alla sacralità».
Divertito da questo connubio dalle mille promesse, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura che per dar forza al suo pensiero parte dalla tradizione romana collegata al mondo ecclesiale fino a parafrasare il filosofo materialista Feuerbach: «L’uomo è ciò che veste» e non più «ciò che mangia». «Il vestito specifica l’uomo. Nella genesi, Dio entra in scena come creatore e come sarto, infatti si legge che fece tuniche di pelle al suo uomo e alla sua donna. Li vestì. Ecco i due volti dell’abito, quello materiale, fisico, usato per tutelarsi dall’esteriorità e il secondo che attiene alla moralità, che protegge la sessualità, dunque la vita e il suo mistero. Poi c’è l’investitura, la rappresentazione sociale di una persona che passa per i simboli di riconoscibilità culturale».
La vestizione è liturgia in evoluzione, proprio come accade per la moda, per gli abiti eleganti e non feriali con i quali si celebra un rito laico. «Vesti e paramenti che entreranno solo in uno spazio trascendente quanto l’abito da sera in un salone». E in iperbole si arriva al «Papa veste Prada» riferimento alle preferenze sartoriali di Benedetto XVI espresse nei mocassini rossi che spuntavano dalla Papamobile, copywriter Ravasi.
Ma tornando al crinale pericoloso, quanto apprezza la Chiesa la dissacrazione cucita addosso? «Si dissacra ciò che ha un significato e che si riconosce – insiste Ravasi –, il simbolo religioso in un mondo secolarizzato ancora incide». Papa Francesco è inflessibile contro gli eccessi mondani, lusso e superficialità, che sono parte integrante della moda. «È vero, entriamo in un mondo che rappresenta anche la malattia del nostro tempo, il lusso fine a sé stesso. Ma anche lì ci sono persone che hanno bisogno della nostra voce. Noi diciamo loro: donate, date ai poveri qualche bel vestito, comprate un giacinto per loro. È male stare solo alla finestra, io guardo oltre la frontiera, oltre la protezione del sacro».