La Stampa, 27 febbraio 2018
Il Sudamerica ostaggio delle crisi sedotto dai militari al governo
Cresce in America Latina la voglia di destra e l’impiego di militari, per le strade e nei posti chiave di comando. Detto così fa specie, trattandosi di democrazie giovani con un passato di sanguinari regimi dittatoriali, ma la tendenza è innegabile. Il Pew Reaserch Center ha chiesto qual è la forma migliore di governo a campioni rappresentativi di diversi Paesi; l’idea di un governo retto dalle forze armate è apprezzato molto o abbastanza dal 42% dei messicani, dal 38% dei brasiliani, dal 31% dei colombiani, dal 27% dei cileni.
In Argentina siamo al 24%, pur sempre un numero elevato se si pensa alle atrocità provocate da Videla e compagni negli Anni Settanta. Chi è disposto a rinunciare all’idea di un governo democraticamente eletto lo fa a cambio di maggiore ordine (presunto) e sicurezza; voglia di uniformi come risposta alla corruzione dilagante e la criminalità diffusa. Il caso più lampante è quello del Brasile, travolto dallo scandalo della Lavajato che ha falcidiato parte della classe politica, toccando anche il leader della sinistra Lula da Silva. Non è un caso che, Lula a parte, a emergere nelle intenzioni di voti per le presidenziali di ottobre c’è l’ex militare Jair Bolsonaro, ultra conservatore, alfiere del pugno duro contro la delinquenza.
Militari che non sono solo evocati nei comizi, ma che sono sbarcati in forza a Rio de Janeiro, grazie al commissariamento deciso dal governo federale per quanto riguarda la lotta al crimine. La misura estrema, mai usata dal ritorno della dittatura, è stata accolta positivamente dalla popolazione; almeno due carioca su tre hanno approvato l’arrivo dei soldati, anche se in molti oggi si chiedono come sarà vivere in una città militarizzata, con carrarmati a presidiare le favelas o le principali zone turistiche. I giornali riportano le foto dei soldati, impegnati a controllare gli zainetti di alunni di una scuola elementare o a schedare facendo una foto con il cellulare gli abitanti delle favelas. Diverse Ong in difesa dei diritti umani hanno messo in guardia sulle conseguenze della militarizzazione. In rete c’è un video che spiega ai giovani neri, bersaglio abituale della polizia, come comportarsi per evitare problemi; portare sempre un documento d’identità, avvisare prima se si cerca qualcosa nelle tasche, non usare ombrelli perché possono essere confusi per fucili, cellulare sempre acceso in caso di necessità. Scenari bellici, in piena democrazia. «Mettere un generale a capo dell’ordine pubblico – ha scritto Elio Gaspari su O Globo – senza colpire il cancro della corruzione serve solo ad autorizzare quanto già visto in passato; l’invasione delle zone povere della città con agenti armati che cantano vittoria dopo aver ucciso decine di “sospetti” innocenti».
Il presidente Temer è andato oltre; a causa di un rimpasto ministeriale ha fatto diventare ministro della Difesa un generale dell’esercito, Joaquim Silva e Luna, cosa che non succedeva dai tempi della dittatura. Mosse azzardate che sembrano comunque non dispiacere a quella parte importante dell’opinione pubblica, che vede nei militari un «baluardo di salvezza» nel degradato panorama politico. Il Brasile è solo la punta dell’iceberg.
A marzo s’insedia in Cile il conservatore Sebastian Piñera e parte del suo elettorato invoca mano dura per combattere la criminalità. Un comitato ad hoc, forte tra le fila del suo partito, chiede la reintroduzione della pena di morte dopo il caso di un padre accusato di aver ucciso la figlioletta di due anni. L’hastag «legge Sophia», dal nome della vittima, ha invaso i social media.
In Argentina tiene banco il caso del «poliziotto sceriffo» Luis Chocobar, che ha sparato ad un delinquente in fuga sorpreso mentre stava derubando un turista nel quartiere de La Boca di Buenos Aires. Pablo Kukoc, 18 anni, è stato freddato alle spalle a dieci metri dalla scena del crimine. Il presidente Mauricio Macri ha invitato l’agente alla Casa Rosada. «Non possiamo punire i poliziotti che rischiano la vita per proteggerci». Gli inquirenti hanno deciso di incriminare Chocobar per uso eccessivo della forza ed il quotidiano «Cronica» ha chiesto un parere ai suoi lettori; più del 80% di loro (oltre ventimila voti) si è schierato a favore dell’agente. Il principale consulente politico di Macri, Jaime Duran Barba, si è spinto oltre. «La gente ha paura e vuole castighi più severi contro i delinquenti, anche fino alla pena di morte. Dobbiamo dare le risposte adeguate». Risposte che quasi sempre sono sulla linea della mano dura.