Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 27 Martedì calendario

Le fake news fanno paura agli italiani. Facebook in calo, crescono i quotidiani

Il 70 per cento degli italiani ritiene che le fake news possano essere usate come un’arma. E questo secondo l’ultima edizione del «Trust Barometer» realizzato su scala planetaria dall’agenzia di comunicazione Edelman fa sì che i timori generati dalle cosiddette bufale modifichino in maniera significativa i valori in campo. L’inversione di tendenza risale al 2015, ma è da quest’anno che nel nostro Paese si registra uno stacco netto: la fiducia nel giornalismo tradizionale ottiene infatti 14 punti in più di quella attribuita a motori di ricerca e social network: 67 punti (+5 sul 2017) contro 53 (-2). «Nell’ultimo anno – spiega il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii – anche noi abbiamo registrato un segnale indiretto che qualcosa sta cambiando. Nella classifica delle fonti di informazione utilizzate dagli italiani – che tradizionalmente vede al primo posto i tg, e al secondo (non solo tra i giovani) Facebook – il più grande dei social network subisce infatti una battuta d’arresto. Non solo non cresce più ai ritmi degli anni passati, ma registra anche una leggera diminuzione degli utenti che lo utilizzano come fonte d’informazione».
È l’effetto boomerang delle troppe fake news veicolate dai social. «Le fake news sono diventate “la” news», sostiene Paolo Peverini che insegna Comunicazione di marketing e linguaggi dei nuovi media all’Università Luiss di Roma. «A livello globale c’è una fortissima attenzione verso questo fenomeno – spiega -. Questo non vuol dire che la maggior parte delle persone che vengono a contatto con notizie fasulle se ne accorga, però se ne parla. E questo gioca un ruolo determinante. Tanto che lo stesso Facebook ha deciso di fare un passo indietro rispetto alla definizione di media platform per tornare ad essere più che altro quel network di relazioni su cui negli anni ha costruito la sua espansione». Secondo Valerii «c’è una grande consapevolezza del rischio di imbattersi in un’informazione farlocca e negli utenti ora si è acceso un campanello d’allarme ed inizia ad affermarsi una certa diffidenza».
Questo però, al momento, non si traduce in una modifica significativa del mercato delle notizie a pagamento. Ma si sa che in questi campi gli Usa son sempre anni avanti a noi. «Dalle indagini sulla popolazione che facciamo – spiega il direttore del Censis – non si riscontra ancora la volontà di pagare per avere informazione di qualità. Perché l’informazione è percepita come una commodity, come una cosa che si è avuta online sempre gratuitamente ed ora è difficile tornare indietro». «Però – sostiene Peverini – lo spazio per una informazione di qualità c’è e c’è una domanda di in questo senso. Lo stesso sondaggio di Edelman ci dice che siamo di fronte ad un parziale cambiamento di rotta. Credo infatti che tutti i media tradizionali, preesistenti l’esplosione dei social, oggi abbiamo ancora un ruolo molto importante. Quando un fenomeno diventa un fenomeno di tendenza, infatti, non lo diventa solo perché è trend topic su Twitter, ma perché le testate tradizionali decidono di coprirlo e lo legittimano. E questo significa che un giornalismo che sia in grado di fare filtro e di selezionare in modo più accurato i contenuti riesce anche a recuperare un legame di fiducia coi lettori».
Nell’attesa che il mercato diventi maturo, gli italiani come si difendono dalle fake news? Diventando «crossmediali» certifica l’Agcom. Dalla supremazia della tv non si sfugge, però il 17,9% della popolazione attinge ad almeno a due fonti, il 24,3% a 3, e la fetta maggiore (41,8%) arriva ad incrociarne addirittura 4: nell’ordine tv, web, radio e quotidiani. Che restano pur sempre la prima fonte d’informazione per il 25% della popolazione.