La Stampa, 27 febbraio 2018
Il compromesso della Bce. Stop al piano Draghi ma solo alla fine dell’anno
C’è un grande punto interrogativo che aleggia su questa campagna elettorale e sul futuro dell’Italia. Quando terminerà il piano Draghi? Quando si chiuderà la finestra di opportunità che negli ultimi tre anni ha permesso al Tesoro di risparmiare miliardi e miliardi di interessi sul debito pubblico? Nell’audizione periodica di fronte al Parlamento europeo a Bruxelles Mario Draghi fa capire che siamo vicini al capolinea: «Una possibile estensione del piano non è stata discussa dal consiglio direttivo della Banca centrale europea».
Per l’Italia, alle urne fra meno di una settimana, e con il rischio concreto di non avere una chiara maggioranza di governo il giorno dopo il voto, il tema è rilevantissimo. Se oggi un Btp paga un rendimento di poco superiore al due per cento lo si deve proprio al piano con il quale la Banca d’Italia – attraverso Francoforte – ha comprato sul mercato parte dei titoli emessi: ormai la banca centrale ne possiede circa il 15 per cento, e lo manterrà fino a scadenza. A Francoforte però nel frattempo l’aria sta cambiando. Draghi fatica sempre più a tenere il punto con chi – tedeschi in testa – chiede una nuova stagione della politica monetaria. Fino a settembre di quest’anno la Bce è autorizzata a comprare complessivamente trenta miliardi al mese per tutti e 19 i Paesi dell’area della moneta unica. Finora il presidente Bce è riuscito a ottenere che quella scadenza non fosse perentoria. Il piano è «open-ended», dicono in gergo a Francoforte. Ma nei corridoi circola già l’ipotesi di compromesso che metterà d’accordo falchi e colombe: un’ultima estensione del piano fino a dicembre. Ancora tre mesi, e per un ammontare di acquisti che potrebbe oscillare attorno ai 15 miliardi di euro al mese. Poi lo stop definitivo.
Per i falchi dell’area euro – oltre alla Germania, l’Olanda, i Paesi nordici ma anche il membro francese del board Benoit Coeuré – questa è la condizione irrinunciabile per mantenere i tassi di interesse vicini allo zero per tutto quest’anno e almeno nei primi mesi del 2019. Alla Bundesbank in particolare pensano che la crescita dell’area abbia ormai raggiunto un livello apprezzabile, e anzi temono che il ciclo economico possa invertire il segno proprio mentre la Bce dovrà iniziare a far risalire i tassi. Draghi ha dalla sua un’inflazione ancora lontana dall’obiettivo del 2 per cento (all’1,3 nell’area), ma ormai nemmeno gli economisti della Bce sperano più di raggiungerlo prima della fine del piano. L’euro in questa fase è molto forte sul dollaro – «la volatilità del cambio merita attenzione», dice Draghi – ma riflette anche la forza dell’economia europea. Inoltre scarseggiano i titoli acquistabili (quelli tedeschi in particolare) e le regole che si è data Francoforte vietano di possedere titoli in una proporzione molto diversa dalla percentuale di partecipazione di ciascuna nazione al capitale Bce. «Bisogna avere ancora pazienza e persistenza», insiste Draghi con i deputati europei.
La pazienza riguarda soprattutto il momento nel quale annunciare la fine definitiva del piano. Poiché i mercati vivono di aspettative, quella sarà la decisione più rilevante. Secondo quanto riferiscono fonti concordanti, le carte di Draghi dovrebbero rimanere coperte fino alla riunione del 14 giugno. Dopo di allora lo scudo che ha protetto l’Italia dalle intemperie dei mercati sarà sempre più sottile. Già oggi, per quanto basso, il rendimento di un Btp italiano è pari a quello del Portogallo e di mezzo punto superiore a quello di un Bonos spagnolo. Se dopo l’estate l’Italia non avrà un governo stabile, potrebbero essere guai seri. Se mai ci dovesse essere un’ondata di vendite contro l’Italia, come arma finale resterebbe solo l’attivazione dello scudo salva-spread. Ma in quel caso non sarebbe la Bce a intervenire, bensì il Fondo salva-Stati Esm. E l’Italia a quel punto finirebbe davvero sotto la piena tutela dell’Europa.
Twitter @alexbarbera