la Repubblica, 27 febbraio 2018
La Perla cambia padrone, arriva il fondo Sapinda. I cinesi di Fosun rinunciano
Milano La Perla cambia di nuovo proprietario. Il gruppo celebre per la biancheria di lusso ma in difficoltà sul versante dei conti, è stato venduto a sorpresa da Silvio Scaglia a Sapinda holding bv. Si tratta di una società di investimento privata con base ad Amsterdam, fondata dal tedesco Lars Windhorst, finanziere con qualche infortunio alle spalle ma anche affiancato da investitori di primario livello ( tra cui almeno in passato Generali). Non è noto il prezzo della transazione, conclusa in tempi record dopo che i cinesi di Fosun avevano fatto scadere i termini della trattativa in esclusiva senza un’offerta vincolante.
Fosun, gruppo internazionale quotato ad Hong Kong, aveva firmato in dicembre un’esclusiva per comprare il marchio a conclusione della due diligence. Scaduto il termine, le trattative erano proseguite ma la distanza sul prezzo, da quanto filtra in ambienti finanziari, si è rivelata incolmabile. Forse non si è nemmeno arrivati ad un’offerta finale. Le ultime indiscrezioni parlavano comunque di una valorizzazione del gruppo intorno ai 100 milioni di euro (e forse meno).
Per questo da un paio di settimane erano partiti i contatti tra Scaglia e Sapinda. I due gruppi si conoscono da tempo, anche se con alterne vicende: a cavallo tra il 2010 e il 2011 Scaglia acquistò proprio da Sapinda l’agenzia di modelle Elite; cinque anni dopo, in relazione ad un’altra vicenda, tra l’ingegnere che aveva fatto le sue fortune con Fastweb e il patron di Sapinda erano scesi in campo gli avvocati. La vicenda si era poi risolta amichevolmente. «Siamo pronti ad investire ulteriormente e a migliorare la posizione finanziaria dell’azienda», ha dichiarato Windhorst. La Perla produce quasi solo in Italia e in Portogallo. «Sono sicuro che il nuovo investitore ha le risorse necessarie per sviluppare ulteriormente La Perla, mantenendo la propria produzione in Europa», ha detto Scaglia. Ma il colpo di scena sul ccambio di acquirente ha creato «sconcerto» tra i sindacati, che promettono di tener alta la guardia. Il prezzo è top secret ma indiscrezioni parlano di una valutazione non troppo lontana da quella dei cinesi, con una clausola che prevederebbe un’integrazione se si arriverà in breve al break even.
Infatti il marchio, ambasciatore del made in Italy nel mondo, continua ad essere ancora lontano dal risanamento. Acquisito da una procedura fallimentare nel 2013 da Scaglia ( per 69 milioni) che ci ha poi investito 350 milioni, il gruppo è passato per una fase di ampliamento del network internazionale e di diversificazione del prodotto, con ampie escursioni nel campo dell’abbigliamento e degli accessori. Entrambe le strategie hanno assorbito molte risorse e dato pochi risultati: i nuovi negozi, in posizioni di lusso, hanno comportato investimenti notevoli non accompagnati da una crescita del fatturato ( fermo sui 140 milioni), mentre la diversificazione del marchio, sotto la guida di Julia Haart, continua ad essere in fase interlocutoria. Non è noto se la stilista continuerà la collaborazione con il gruppo.