La Stampa, 27 febbraio 2018
Dalla nostalgia per Salò all’ascesa nelle periferie. Radiografia del movimento dell’ultradestra cresciuto nelle università
Era il lontano 2003: all’Esquilino un gruppo di giovani di estrema destra occupava uno stabile a Roma, zona Piazza Vittorio, e lo intitolava al loro mito, il poeta Ezra Pound. Un poeta maledetto, che amò talmente il fascismo e la Repubblica sociale da rinnegare i suoi Stati Uniti, e perciò in patria fu rinchiuso 13 anni in un manicomio dopo la guerra.
Da allora, ne hanno fatta di strada, i giovanotti di CasaPound. Amano le azioni eclatanti, quelle che non piacciono a nessuno, tipo i manichini impiccati sotto i ponti (era il 16 gennaio 2005), oppure i cappucci sulle statue degli eroi risorgimentali (nel novembre 2008), l’assalto al set dove si registra «Il grande fratello» a Roma (sempre nel 2008), fino alla distribuzione di generi alimentari in Grecia assieme ai camerati di Alba Dorata (nel settembre 2015).
Nel frattempo crescono le sedi in giro per l’Italia. Aumentano le occupazioni «non conformi», nel senso che non sono quelle dei centri sociali di estrema sinistra, ma in fondo si assomigliano. Di pari passo alle manifestazioni lugubri contro i centri di accoglienza per migranti, intanto, CasaPound ha curato anche la diffusione di una sua cultura. Di qui una rete librerie per le pubblicazioni d’area, decine e decine di conferenze con autori anche illustri, pubblicazioni. Hanno anche una band di riferimento, gli «Zetazeroalfa», di cui il presidente Luca Iannone è il leader.
Rapidamente il gruppo estende il suo raggio di azione. Dal 2006 in poi cresce lentamente ma inesorabilmente anche nelle scuole e nelle università attraverso la sigla Blocco Studentesco. Oggi è presente in 40 città e fa promozione tra i giovanissimi: a Roma, nel 2009, ha raccolto oltre 11.000 voti, pari al 28% del totale.
Nel 2008, un altro fondamentale step: CasaPound si struttura e diventa «associazione di promozione sociale». Da quel momento dedica molta attenzione alle attività collaterali. Nascono una associazione satellite di Protezione civile, «La Salamandra»; l’associazione di volontariato «Impavidi destini» dedicata alle famiglie con un disabile in casa; la sigla ecologista-animalista «La foresta che avanza»; fino al cartello di avvocati «Società degli scudi» che garantisce assistenza legale ai militanti finiti nei guai.
Non sottovalutano una grafica moderna. Né il digitale. Hanno una rete di circa 20 web-radio con il marchio comune «Radio Bandiera Nera». Fino all’ultimissima novità, un manipolo di «websupporter» che pagano 15 euro una tessera da esporre sul proprio profilo Facebook.
Velocemente, cavalcando il disagio sociale, CasaPound cresce, anzi dilaga nelle periferie d’Italia. «Siamo stati sdoganati – diceva qualche tempo fa il leader Simone Di Stefano in un intervista – dai risultati elettorali». E in effetti fa impressione che un anno fa a Ostia, 230 mila abitanti, CasaPound abbia sfiorato il 10% dei consensi; il 7% a Bolzano, l’8% a Lucca, il 5% a Todi, quasi il 7% a Lamezia Terme. Nel Bresciano, un sindaco a fine mandato è passato nelle loro file. A Bologna, si è candidato con la tartaruga un illustre ex sottosegretario alla Difesa come Filippo Berselli, ex An.
Piccoli exploit locali, per il momento. Ma domani chissà. Di sicuro pregustano i primi consiglieri regionali nel Lazio e in Lombardia. «E se continuano a farci così tanta pubblicità, questi imbecilli che stanno in mezzo alla strada probabilmente possono portarci anche al 5 per cento», ironizza Di Stefano sull’allarme del neofascismo che avanza. Ironico, paradossale e contorsionista al punto giusto, il loro candidato premier, come quando afferma: «Dire che noi dobbiamo rinunciare al fascismo è anticostituzionale».
Fanno anche campagna elettorale alla vecchia maniera, i camerati di CasaPound. Unici a tappezzare di manifesti con il faccione del leader i muri, sia dove è concesso, sia dove sarebbe vietato. Presenti spesso e volentieri nelle piazze con banchetti e volantini. Prodighi di incontri con la gente esasperata nelle periferie. Qualche giorno fa, per dire, Di Stefano incontrava a Firenze un gruppo di tassisti e di residenti di case popolari nella zona di Novoli: «Mi hanno esposto i problemi che si vivono a causa dell’immigrazione incontrollata». Solito parafulmine, gli immigrati, dei tanti problemi italiani.