la Repubblica, 25 febbraio 2018
L’amaca
Se fossi un elettore dei Cinque Stelle trarrei nuovo entusiasmo, e maggiore determinazione, dalla catena di “allarmi” (il più notevole è quello del presidente della Commissione europea Juncker) relativi alle imminenti elezioni italiane.
Lo spettro agitato è quello della ingovernabilità connessa a una forte avanzata del partito di Di Maio. Idem per i continui borbottii dei cosiddetti ambienti finanziari, che spesso parlano del pericolo populista con lo stesso goffo panico degli industrialotti del primo boom italiano di fronte al pericolo comunista.
Niente è più controproducente di questo asserragliarsi pavido, come se davvero i cosiddetti “poteri forti” avessero, come unico obiettivo, difendere dei privilegi e confermare delle inerzie: come è tipico di ogni arrocco conservatore.
L’assetto fantasmatico e diabolico del potere mondiale immaginato dal grillismo, e dal pensiero populista in generale, esce rafforzato da ogni lamento che esce dai Palazzi. Proprio perché quell’assetto è una caricatura della realtà (specie della realtà dell’Ue, che non è solo “Europa delle banche”) bisognerebbe evitare che le classi dirigenti europee figurassero, con una certa frequenza, come i senatori romani della decadenza, con la barba tremante in attesa dei barbari. Imparassero almeno a fare finta di avere i nervi a posto: per esempio tacendo, al contrario di Juncker.