Avvenire, 27 febbraio 2018
Due o tre cose su Xi Jinping, l’ultimo imperatore
Era nell’aria da ottobre, quando dal 19esimo Congresso del Partito comunista cinese non era uscita una leadership chiara (la “sesta generazione”) in grado di guidare il Paese dopo il 2022. Non a caso, proprio in quell’assise erano circolate le voci della possibile fine della prassi di un massimo di due mandati presidenziali senza stabilire però un nuovo limite. Era emerso con chiarezza anche che il progetto riformista era tutt’altro che completo e che molto restava da fare per ridurre squilibri e opportunità, attuare maggiori investimenti come motore di crescita alleggerendo la dipendenza dall’export; avviare un efficiente sistema di welfare e, infine, proseguire nel contrasto alla corruzione che minaccia la stabilità del Paese e la credibilità del Partito comunista Difficile dire se l’appropriazione delle maggiori cariche dello Stato e del Partito, ma anche il controllo delle forze armate (almeno una dozzina) rispondano per Xi alla logica di garantirsi lo spazio necessario a operare il riequilibrio del sistema oppure se abbia un espresso intento di arrivare a un potere assoluto, quasi imperiale, dopo avere eroso in modo forse definitivo quella politica del consenso che ha finora garantito il ruolo delle dinastie politiche, ma anche un dibattito sulle modalità con cui il Pcc deve interfacciarsi con la società.
Un strada tutt’altro che spianata ma raramente in salita ripida quella del 64enne Xi, di origini rurali, studi di ingegneria chimica, figlio di un notabile del partito e per questo considerato un “principino”, ovvero un “garantito”, anche se magari condannato a un ruolo intermedio. Che il giovane Xi non ha accettato, anche se ha dovuto forzare molte resistenze. Anzitutto quella di Zhou Yongkang, ex membro del Comitato permanente del Politburo del partito, ex capo dell’azienda petrolifera di Stato e dei servizi di sicurezza interna su cui Xi ha trionfato esautorandolo nel 2014 e accettandone senza molto rimorso l’incarcerazione a vita per corruzione. Come pure ha sopraffatto l’astro nascente del partito, il neo-maoista Bo Xilai, membro del Politburo del Comitato centrale, caduto in disgrazia nel 2012 e successivamente incarcerato. Tra pressioni e incentivi, Xi Jinping si è garantito una fedeltà personale e un controllo istituzionale unici, che fanno leva anche sul timore che il Pcc, che si avvia a celebrare il centenario dalla fondazione nel luglio 2021, possa assistere a una disgregazione di tipo sovietico.