Libero, 26 febbraio 2018
Il turismo medico vale 150 miliardi. Ma lo Stato sabota i nostri ospedali
Sempre più persone snobbano la Sanità del loro Paese per rivolgersi a quella di un altro Stato: al posto dei ticket in accettazione oggi abbondano i ticket di viaggio. I biglietti del treno o dell’aereo che consentono, ai facoltosi (e non) pazienti di mezzo pianeta, di accedere alle cure di base lontani da casa. Ma chiariamo subito: le strutture sanitarie italiane di questo vero e proprio business che si chiama “turismo medicale” non vedono che gli spicci. Da noi, cioè, non arriva (quasi) nessuno. E mica perché le sale operatorie del Belpaese non siano attrezzate a puntino o perché i dottori tricolori non siano sufficientemente preparati. Macché. Abbiamo uno dei sistemi ospedalieri migliori del mondo, lo dice la multinazionale americana Bloomberg e lo ribadisce l’Oms. No, il punto è che al di là delle belle promesse (i ministeri del Turismo, degli Esteri e della
Salute sono attualmente impegnati in un tavolo di trattative che dovrebbe valorizzare il valorizzabile), la promozione latita, le leggi che dovrebbero agevolare il “passaporto sanitario” faticano a rodare e gli investimenti sono ridotti al lumicino.
Così succede che gli infermieri thailandesi abbiano a che fare, ogni anno, con un milione e 200mila pazienti stranieri, il Messico con un milione tondo tondo, la Malesia con 850mila e gli Stati Uniti con altri 800mila. L’Italia, nella classifica degli spostamenti causa bisturi, non è nemmeno pervenuta. Elemosina 5mila ticket staccati fuori dai confini nazionali, praticamente le briciole di un giro d’affari che sfiora i 150 miliardi e vale, dicono gli addetti ai lavori, un incremento annuo delle industrie mediche del 20%. Se n’è accorto, tra gli altri, il console di Mosca Pierpaolo Lodigiani: «Abbiamo stimato che nel 2017 e solo per i trattamenti
ad alta complessità ci siano stati circa 200mila pazienti russi che si sono recati all’estero, ma noi ne abbiamo intercettati appena poche centinaia. Eppure l’Italia è il Paese in cui i russi vengono più volentieri».
DATI REGIONALI
La percentuale delle degenze “forestiere” nei nostri policlinici è in media dello 0,89% (lo riportano i più recenti dati del portale TrueNumbers) e la maggior parte dei ricoveri in questione avviene nelle province autonome di Trento e Bolzano. Zone, quindi, che hanno già a che fare con il flusso transfrontaliero per altre ragioni. Il 2% sceglie invece le cliniche di Aosta e dintorni e a livello regionale seguono Liguria, Puglia, Toscana e Friuli.
Tutte le altre amministrazioni locali restano a guardare. Compresa la Lombardia, che ha un sistema sanitario d’avanguardia e che, se messa nelle giuste condizioni, potrebbe trainare senza alcuna difficoltà il boom che non c’è. Le stime di Intercare, la fiera dedicata ai sistemi sanitari internazionali, lo mettono nero su bianco: attorno a Milano gravitano 56 dipartimenti biomedicali, 19 Irccs che producono il 58% delle pubblicazioni mediche dello Stivale, 32 centri di ricerca, settecento aziende che rappresentano il 47% del fatturato italiano. E però niente, agli ambulatori della Madonnina i pazienti stranieri preferiscono quelli di Bangkok. «Nel 2015 abbiamo iniziato a creare una rete di aziende per muoverci sul mercato internazionale racconta Cristian Ferraris, direttore organizzativo di Assolombarda, pochi giorni fa abbiamo lanciato il portale “healthlombardy” che presenza l’offerta terapeutica di alcuni centri regionali. È un primo passo per creare un’identità di destinazione». Peccato che senza l’aiuto istituzionale gli sforzi fatti potrebbero andare a farsi benedire.
RECUPERO DELL’IVA
Parte della colpa è delle normative decretate da Roma che, al solito, presentano più inghippi che punti di forza. Uno su tutti: a penalizzare i nostri camici bianchi è il recupero dell’Iva che al momento per i malati stranieri non è proprio possibile. Lo sostiene il presidente dell’Associazione italiana dell’ospitalità privata (Aiop), Gabriele Pelissero: «Oggi uno straniero può recuperare l’imposta su una borsa o su un paio di scarpe, ma non su una protesi all’anca». Della serie: passato il controllo documenti in aeroporto, un qualsiasi turista extra-europeo può chiedere lo storno dell’Iva su determinati articoli acquistati in Italia per un costo superiore ai 154 euro (vedi computer, telefonini, gioielli), ma non può fare altrettanto per corone dentali, farmaci e impianti chirurgici. Bella fregatura.
Quando, nel settembre scorso, i numeri (scarsi) del fenomeno sono arrivati sulla scrivania della Farnesina, persino il ministro Alfano ha avuto un mezzo sussulto. Eh già, ha borbottato, se si facessero le cose per benino potremmo «registrare un incremento del fatturato della fiera della salute di oltre cinque miliardi di euro all’anno». Tutto nei reparti di neurologia, cardiochirurgia, oncologia e ortopedia. Ma al momento resta un miraggio.