La Gazzetta dello Sport, 27 febbraio 2018
Il pugile che vince sul ring e poi muore dopo l’intervista tv
Il trionfo inatteso, la passerella in tv e dopo la festa, la tragedia, anticipata da quelle immagini che viste adesso, dopo la morte di un ragazzo di 31 anni, sono ancora più atroci.
SCONTRO DURO Il pugilato piange una volta di più la vita versata da chi ne aveva fatto una passione, da chi sognava, attraverso il ring, di esplorare emozionanti orizzonti di gloria. Il massimo leggero inglese Scott Westgarth, 31 anni, ha perso la sua battaglia domenica notte in un ospedale di Sheffield, dove era stato ricoverato a seguito di un malore avvertito negli spogliatoi dopo la vittoria contro Dec Spellman a Doncaster, sabato sera. Un match durissimo, con entrambi i contendenti finiti al tappeto ma poi capaci di arrivare fino ai dieci round previsti. Westgarth, dieci match in carriera (e nessuna attività da dilettante), era decisamente sfavorito contro un rivale imbattuto in 11 sfide, ma si è meritato il verdetto con una prestazione eccezionale, guadagnandosi la possibilità di battersi per il titolo nazionale, un traguardo che poteva dare una svolta decisiva alle sue ambizioni. Subito dopo il match, i due avversari si sono concessi alle telecamere e il vincitore, all’inizio, è apparso lucido e sorridente. Ma a un certo punto, quando il microfono è passato all’altro, si è seduto sul ring con un atteggiamento di grande sofferenza e ha cominciato a tenersi il volto tra le mani. Qualche minuto più tardi, si è accasciato a terra privo di conoscenza e la corsa verso una clinica attrezzata è stata inutile: non si è più ripreso, anche se la causa della morte non è ancora stata resa nota.
DIVERTIMENTO A bordo ring c’erano anche la sorella Bethannie e la fidanzata Nathalie, subito accorse al capezzale di Scott, mentre la riunione è stata sospesa. E alla luce di un dramma immane, per la famiglia e anche per il rivale Spellman («Sono sconvolto, il mio cuore è con lui e i suoi cari»), suonano quasi beffarde le parole che Westgarth era solito riservare alla sua carriera di pugile, lui che era stato istruttore di sci e per tirare avanti in attesa del successo con i guantoni lavorava ancora come cuoco in un hotel: «Io non combatto perché penso di essere il più forte del mondo: lo faccio per divertimento, perché mi piace intrattenere la gente che viene a vedermi». Da brividi. Alcuni siti internet hanno subito lanciato una sottoscrizione per raccogliere fondi a favore dei congiunti di Westgarth, mentre la Federazione inglese ha voluto ricordare come «le nostre norme sanitarie e di sicurezza siano molto stringenti, tanto che qualche pugile ci ha perfino accusato di essere troppo rigidi». Ma quando il destino chiede il suo tributo, non c’è regola che tenga.