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 2018  febbraio 18 Domenica calendario

Antigone, una talebana all’obitorio

Guerra, sangue, morte, cadaveri. «Antigone? Una talebana che rivendica la ragione tribale, contro Creonte che vuole affermare la ragione di Stato». È ambientata in un obitorio la tragedia di Sofocle riproposta con la drammaturgia di Sandro Lombardi (anche nei panni del re di Tebe) e Federico Tiezzi (anche regista della messinscena). «L’eroina mitica – continua Tiezzi – è un’integralista, i suoi discorsi mi ricordano a tratti le dichiarazioni folli, farneticanti, che fanno i combattenti dell’Isis contro gli infedeli mentre si accingono a giustiziarli. Il palazzo di Tebe è un obitorio, un luogo di morti».Antigone è colei che, davanti al cadavere di suo fratello Polinice, morto sotto le mura di Tebe combattendo contro l’altro fratello Eteocle che gli ha sottratto il regno, viene messa di fronte a una scelta: rispettare le leggi del sangue e seppellirlo o sottostare alle leggi della città che vietano la sepoltura dei nemici della patria. La giovane figlia di Edipo sceglie di obbedire al legame familiare, sapendo di andare incontro alla punizione che le spetta. Una tragedia annunciata, ora riproposta con lo spettacolo che debutta in prima nazionale al Teatro Argentina di Roma il 27 febbraio. Nel ruolo del titolo, Lucrezia Guidone: «Antigone è come se mettesse il pilota automatico verso la morte, pronta a farsi esplodere per compiere la sua missione – riflette l’attrice, che interpreta il ruolo per la prima volta – È come se dovesse scontare colpe, non sue, del passato: è nata da un incesto».
La tragedia si incentra sul conflitto tra Creonte e sua nipote, ponendo una domanda: chi è il bene e chi il male? Ragiona Tiezzi: «La ragione sta dalla parte del re che ha emanato un editto, che ha il dovere, il compito di applicare le regole e di farle rispettare oppure dalla parte di colei che viola le regole del contratto sociale? Non c’è risposta». Interviene Lombardi: «Creonte non ha una sola dimensione, è pieno di dimensioni. Lui non avrebbe voluto regnare, non gli piace, è riluttante, ma si è trovato costretto a salire al trono, proprio per la morte di Eteocle, di cui era tutore, e non può non considerare Polinice un traditore. Al tempo stesso, di fronte all’ostinata determinazione della nipote, per non condannarla a morte cerca di farla ragionare, addirittura la implora e tenta di trovare tutte le possibili scuse per dissuaderla dal suo intento. Arriva a dirle: sei sicura di aver preso parte alla sepoltura di Polinice? Ma Antigone, come la sorella Ismene, è una pazza, invasata. Dunque – aggiunge – il personaggio che interpreto io, lo immagino molto lontano da quello che ne fece Bertolt Brecht nella sua interpretazione della tragedia sofoclea, prendendo le mosse dalla provocatoria traduzione tedesca di Friedrich Hölderlin: in Creonte il drammaturgo tedesco vedeva una sorta di controfigura di Hitler, spietato tiranno. No, secondo me non è un mostro di crudeltà e, anzi, soffre profondamente nel far morire Antigone».
E qui entra in scena Tiresia, l’indovino che con le sue cupe profezie incita Creonte a liberare la ragazza murata viva. Nello spettacolo diretto da Tiezzi, è impersonato da una donna, Francesca Benedetti. Spiega la scelta il regista: «Volevo una diva, un personaggio sopra le righe, che invade il palcoscenico con la sua visionarietà allucinata da sciamano che assume droghe, sostanze allucinogene... Tiresia è il femminile e il maschile al tempo stesso, adulto e bambino, un carattere ambiguo, fortemente erotico, che ha in sé più voci e le esprime in maniera esuberante, metafisica. Ho immaginato Tiresia ispirandomi un po’ alla Madame Lysiane di Jeanne Moreau, la tenutaria del bordello nel film Querelle de Brest di Fassbinder». E infatti incede accompagnata da un giovanissimo uomo: «È un toy boy – interviene Benedetti, eccitatissima dal ruolo – con cui il mio Tiresia ne fa di tutti i colori. Il suo delirio è venato di una sensualità selvaggia, promiscua, vampireggiante, desiderosa di ostentare una sua complessità: in lei-lui è condensato tutto il materiale e l’immateriale dell’essere umano. E probabilmente per questo è dalla parte di Antigone, tentando di strapparla, pur non riuscendovi, a un destino infame». Perché? «Ma è ovvio! – risponde l’attrice che alla metà degli anni Settanta impersonò Antigone nell’ Edipo a Colono diretto da Aldo Trionfo – Perché la vede come una guerriera molto terrena e terrigna, che però sta dalla parte delle cose eterne! Per la principessa infatti conta molto di più il mondo dei morti che quello dei vivi».
I lettini di acciaio su cui, coperti da lenzuoli bianchi, si indovinano i corpi senza vita che verranno sezionati, sono allineati nello spazio scenico. «Gli attendenti dell’obitorio – spiega Tiezzi – cioè coloro che si prendono cura dei cadaveri, rappresentano il coro, ovvero l’anatomia testuale dell’opera. Sono vestiti come gli infermieri che hanno avuto a che fare con Ebola, dotati di camice e mascherina anti contagio, e puliscono il lago di sangue in cui sprofonda una famiglia intera».
Lo spettacolo si inserisce nel percorso di stagione del Teatro Stabile di Roma, intitolato «Anatomia del potere». Conclude Guidone: «Antigone mi è entrata dentro e, da quando la incarno, ho una strana attività onirica, come se mi smuovesse qualcosa nell’inconscio: sogno macabri funerali di famiglia. Che mi sta succedendo?».