Libero, 24 febbraio 2018
Indegno sfruttamento dei randagi
Secondo il Ministero della Salute, dati fermi al 2012, in Italia i cani randagi sarebbero tra 500/700 mila, cifre sottostimate dovute a molti canili abusivi che non comunicano numeri ed anche ad alcune regioni, come Calabria e Campania, che pare non abbiano trasmesso alla Lav dati certi. Il problema di cani vagabondi è una piaga che colpisce soprattutto il sud, ma di recente le associazioni animaliste hanno lanciato un preoccupante allarme: un aumento del randagismo nelle zone di Lecco, Milano e Brianza. Si tratta di cani non microchippati che dal Sud vengono portati illegalmente al Nord tramite staffette, poi fatti accalappiare nei Comuni del nostro territorio. Le ripercussioni sono molte, da quelle economiche a quelle sanitarie, come la Leishmaniosi e la Giardiasi, malattie endemiche del meridione che si stanno propagando al Nord. Ad accendere i riflettori è stata la Lega Nazionale per la Difesa del Cane sezione di Milano, che ha parlato di vera e propria emergenza, denunciando «gravi conseguenze, come quella delle ATS (ex ASL Varese e Como) e dei Comuni che si trovano ad affrontare spese improvvise, che portano perfino a negare il consenso di cessione dell’animale, nei casi di richiesta da parte di cittadini in difficoltà. Ai problemi di gestione, in quanto le strutture come il nostro rifugio, non riescono più a lavorare in modo ottimale. Inoltre questi animali “deportati” sono cani problematici: malati, diffidenti, fobici, destinati a rimanere in canile, di difficile adozione. Poi vi è anche un aspetto lucroso, qualcuno ha infatti trovato un nuovo business su cui fare leva, facendosi pagare per dei viaggi su mezzi non autorizzati. Occorre che i Comuni attuino un piano d’azione atto a verificare la veridicità degli accalappiamenti, soprattutto a ragione del fatto che spesso i nominativi delle persone che segnalano i cani “randagi” sono gli stessi in diverse zone, nel Milanese, nell’hinterland, a Segrate, Merate. Serve un protocollo d’intervento urgente, controlli più rigidi e azioni coordinate tra ATS, Regioni e Ministero, mirate a combattere il randagismo territoriale e locale del Sud Italia, in modo che non venga esportato ma contrastato efficacemente dalle istituzioni preposte, esattamente com’era avvenuto al Nord Italia».
Anche nel Comasco la situazione è inquietante, come dichiara Marco Folloni, Presidente dell’associazione “Gli Amici del Randagio”, che gestisce i canile di Mariano Comense e di Erba: «Dopo tanti anni di sforzi, di campagne di sensibilizzazione e grazie al microchip, si era giunti ad arginare il randagismo, che sul nostro territorio era ormai ridotto ai minimi termini. Ma oggi si assiste a un aumento di cani accalappiati. Si tratta di animali portati dal Sud Italia, fatti catturare al Nord e accolti prima nei canili sanitari e poi nei rifugi. Fenomeno grave e reale che in Brianza sta raggiungendo dati preoccupanti. Questi cani sono difficilmente adottabili perché hanno problematiche comportamentali tipiche di animali poco socializzati, che provengono da situazioni in cui vivevano allo stato brado, e che spesso hanno anche paura dell’uomo perché maltrattati». Pure a Monza il Presidente Enpa Giorgio Riva conferma «c’è un arrivo massiccio di cani dal Sud, in aumento anche gli episodi di abbandono di cani provenienti dal Sud nelle aree di sguinzagliamento di Monza e Brianza». Idem in Emilia Romagna, dove Stefano Bargi, consigliere regionale Lega Nord, ha denunciato in una interrogazione in Regione: «I cani randagi provenienti dal meridione sarebbero anche 1.200 ogni mese e vanno a gravare sui bilanci delle amminigna». Il fenomeno delle cosiddette “staffette”, nasconde «un sottobosco di rischiosa improvvisazione e soprattutto di interessi tali da attirare l’attenzione della criminalità organizzata. Vengono fatti entrare nei canili comunali attraverso finti ritrovamenti sul territorio. Un giro d’affari “redditizio e pericoloso”.
Il costo del randagismo in Italia nel 2015 è stato di 118 milioni, cifra che moltiplicata per 7 anni, tempo medio della permanenza in canile di un cane in assenza di adozione, supera gli 825 milioni di euro (dati Lav). È presumibile che nel 2017 le cifre aumenteranno.