Libero, 24 febbraio 2018
Intervista a Vittorio Sgarbi. «Sarò io il numero uno di Forza Italia. Vedrete»
Collegi uninominali: sulla carta ci sono 348 sfide, 232 per ottenere un seggio alla Camera e 116 per averlo in Senato. Tutti gli altri eletti arriveranno dal proporzionale, quindi di fatto sono calati dall’alto dai partiti. Andando a spulciare i 348 confronti, due soli però sembrano i duelli veri. Quello di Bologna tra il candidato Pd, Pier Ferdinando Casini, e l’ex governatore dell’Emilia, Vasco Errani, bersaniano doc ora in Liberi e Uguali e quello di Acerra tra il candidato premier di Cinquestelle, Luigi Di Maio, il quale gioca in casa, essendo nato a Pomigliano d’Arco, e l’immortale Vittorio Sgarbi, presentato da Forza Italia. «Ma quella di Bologna è una sfida in parrocchia», precisa lui, «tutta all’interno della sinistra, tra ex comunisti e renziani, a chi perde di meno. Il mio è il solo confronto tra big di due schieramenti che possono vincere e puntano a governare».
Allora è tornato berlusconiano?
«Veramente io sono entrato in Parlamento nel 1992, con il Partito Liberale, Silvio è arrivato dopo. Quindi al massimo è lui che è sgarbiano».
Però lei si candida con Forza Italia...
«Io sono il fondatore e candidato di Rinascimento, il quale però non ha presentato liste elettorali, quindi ho un patto federativo con Forza Italia, anche se a dire la verità, non la trovo: io chiamo per la mia campagna elettorale e non mi risponde nessuno. Risolverò il 28 febbraio, al Teatro Italia di Acerra, con una tappa del mio spettacolo “Michelangelo” gratis per tutti e una serata del tour di Cristicchi sulle foibe».
Frecciata agli azzurri?
«Io volevo andare da solo ma non me lo hanno fatto fare e mi hanno fatto dare le mie firme alla lista di Cesa. Però accorpandomi mi ha fatto un favore, gli auguro di non pentirsi: mi ha fatto diventare un corpo intraneo e lei sa questo cosa significa?».
Me lo spieghi lei...
«Che posso giocarmi la partita per la leadership di Forza Italia. Berlusconi mi ha chiesto di candidarmi e sfidare Di Maio perché non aveva nessun altro in grado di poterlo fare. Questo è stato il riconoscimento ufficiale che Silvio mi ritiene il numero uno».
Il numero uno non è Silvio?
«Io sono l’unico, dopo Berlusconi, ad avere successo, carisma, forza, idee, capacità e popolarità. Pertanto, se lui è il numero zero, visto che non si può candidare, io sono il numero uno».
Questo tra molti anni...
«Mica troppi. Se lui si ritaglierà il ruolo di padre nobile, chi altri ci può essere a reggere la struttura?».
Salvini?
«Sto parlando di Forza Italia, non del centrodestra. Il partito ha avuto poco ricambio ai vertici. I delfini nominati da Silvio Alfano, Bondi, Scajola sono tutti fuori gioco. Le menti pensanti, da Martino a Urbani a Pera, sono fuori per ragioni anagrafiche. Io sono uno dei pochi sopravvissuti. Oltre a me restano in tre: Ghedini, ma è uno che non vuole apparire, Romani, ma è insufficiente, e Brunetta. Se Brunetta si candida a segretario, io lo sfido. E se perdo faccio come quelli di Rifondazione quando Ferrero vinse il congresso: loro fondarono Sel e Ferrero sparì, io mi riprendo Rinascimento e inglobo tutti. Tanto anche Silvio dice che tra gli azzurri nessuno mi arriva neppure alla cintola».
Ma lei non è troppo scostante e folle per fare il capo?
«Date un folle ai liberali, diceva Luigi Einaudi. Quanto alla costanza, è una stupidaggine caratteriale, io faccio il capo, mica l’organizzatore».
Lei però è un solista...
«Ma rispetto molto l’intelligenza degli altri. Farei un governo straordinario».
Queste cose a Berlusconi le ha dette?
«No, ma le sa».
Si dice che giovedì il Cavaliere farà il nome del suo candidato premier. Ci crede?
«Sì, ma penso che butterà lì un ballon d’essai. Proporrà Draghi, che peraltro è anche il candidato di D’Alema. Per poi arrivare a Tajani.
Se propone Tajani subito, corre il rischio che Salvini glielo bocci. Quanto a Draghi, lui sulle prime resterà zitto e starà a vedere. Ma il candidato preferito è senza dubbio il presidente del Ppe; anche perché nel caso la Corte di Giustizia riabilitasse Berlusconi, Tajani avrebbe la cortesia di fare un passo indietro. A Draghi invece non glielo si può chiedere. Comunque la partita vera per il premier si giocherà solo dopo il voto: hanno voluto così Berlusconi e Salvini, approvando una legge pessima ma che consente loro di togliersi l’imbarazzo di decidere chi comanda tra uno che non può governare, uno considerato troppo estremista e la Meloni, che ammiro ma guida un partito troppo piccolo».
Così non è una coalizione a metà?
«È un’alleanza zoppa, può sempre raddrizzarsi. Se la Corte dei Diritti dell’Uomo annullasse la condanna, ingiusta, a Berlusconi, Silvio diventerebbe un eroe. Ma anche così non è detto che nel 2019 lui non possa godere del risarcimento dei diritti civili ed essere riabilitato; andando a fare, per esempio, il ministro degli Esteri, che da sempre è la cosa che gli riesce meglio».
E lei farà il ministro della Cultura?
«Son il candidato naturale al ministero in caso di vittoria del centrodestra. Sarebbe un errore grave non nominarmi. D’altronde, nel proporzionale mi fanno sfidare, a Ferrara, l’attuale titolare del dicastero, Dario Franceschini. Ci pensi, tutte le candidature di Forza Italia non hanno alcuna logica, le uniche sensate sono le mie: significa che mi ritengono il numero uno».
Quando si è riavvicinato a Berlusconi?
«Ormai sono anni, dai tempi del Bunga Bunga. Non perché io partecipassi alle serate ma perché fui tra i primi a mostrargli la mia solidarietà in pubblico quando tutti lo linciavano. È stato vittima di una grave ingiustizia. Lui non andava a prostitute ma a mantenute: erano tutte consenzienti e stipendiate, tant’è che nessuna mai lo ha accusato di abusi».
Quando ha offerto ai grillini espulsi da Di Maio di venire con lui, lei si è sentito tradito?
«Assolutamente no, è realpolitik. Meglio questi grillini espulsi, che sono terra di nessuno, e quindi da occupare, del Pd. Con loro non si deve trattare, non hanno casacca, non hanno storia né identità, con Renzi invece dovresti scendere a patti, e non potresti governare come vuoi. Mi chiedo solo perché abbia parlato così presto».
Cosa ne pensa dello scandalo dei mancati rimborsi di Cinquestelle?
«Penalmente non c’è nulla di rilevante. Politicamente è gravissimo. Il mancato rimborso non dimostra indegnità morale, perché ognuno del proprio denaro fa quel che vuole, ma un’incoerenza assoluta, che si traduce in totale inaffidabilità agli occhi dell’elettore».
Però il grosso della cifra l’hanno restituita: lo scandalo non è stato montato un po’ troppo dalla stampa?
«Affatto. I grillini sono i veri fascisti. Hanno fatto un’azione illegittima: obbligare i loro deputati a restituire una parte dello stipendio è immorale perché punta a mettere in cattiva luce gli altri partiti che non lo fanno. La beneficenza però ha valore se è privata. I grillini hanno fatto un contratto illegale con gli elettori e neppure lo rispettano».
Come va la sfida a Di Maio?
«Volevo evangelizzarlo e convertirlo all’italiano girando la Campania con la grammatica in mano come un esorcista con la croce, ma a lui poco importa di imparare. Sta bene a sguazzare nella sua totale ignoranza. L’unica cosa che gli preme, a lui e a tutto il Movimento, è avere scardinato il bipolarismo e condannato l’Italia alla paralisi».
Malgrado le loro deficienze i grillini però crescono...
«Solo grazie al profondo disprezzo che la gente nutre per la politica. Scrivere Grillo sulla scheda è come scrivere M...».
E se la querelano?
«Sono contento, così posso difendermi. Ho girato un video per internet in cui consiglio Di Maio come lassativo al posto del Guttalax. Non può querelarmi, perché quando lo vedo vado di corpo io, non lui».
Perché non organizzate un duello faccia a faccia?
«Scappa. Potremmo organizzarlo faccia a c..., perché lo vedo solo di spalle. Io lo chiamo “Ambra”: non ha un pensiero suo, dice solo quel che gli dicono via auricolare».