Libero, 23 febbraio 2018
Pier Vittorio Tondelli, lo scrittore dei giovani esiliato dai soloni letterari
In Italia, fotografa l’Istat, si legge sempre meno. Trenta milioni di persone leggono meno di un libro l’anno e la maggior parte sono adolescenti. Da maggiorenni è improbabile che spendano i 500 euro del bonus cultura in libri. Ma se un ragazzo avesse nutrito concrete ambizioni letterarie aspirando ad avvicinare la scrittura e la letteratura alle giovani generazioni, allora quel millennial si sarebbe potuto chiamare Pier Vittorio Tondelli. Tondelli, morto quasi trent’anni fa, ha ancora molto da insegnare secondo Roberto Carnero che in Lo scrittore giovane Pier Vittorio Tondelli e la nuova narrativa italiana (Bompiani, 240 pagine, 11 euro) che descrive il ragazzo di Correggio come vero apripista di una nuova stagione letteraria che si rinnova a ogni nuova generazione. Fin dall’esordio a 25 anni con i sei racconti di Nuovi libertini, Tondelli, fresco di Dams e di Umberto Eco, si fa notare per un lessico fedele a quello della gioventù emiliana, l’omosessualità dichiarata che gli vale una prima censura assieme all’editore Feltrinelli e l’attenzione alla condizione della «degradata periferia giovanile», schiacciata tra aspirazione alla libertà e paura del grande salto nel mondo degli adulti.
Passa dalla forma breve al romanzo con Pao Pao, elegiaco resoconto del servizio di leva vissuto come opposizione tra i cerimoniali militari e il racconto di un’amicizia-amore tra camerati favorito dalla promiscuità del recinto stretto della caserma. A trent’anni con Rimini racconta il mondo di plastica della riviera romagnola illuminata dai neon dei locali notturni, divisa tra romanzo di costume e poliziesco, lancia il giovane nel mondo del jet set letterario: un Bukowski glam intervistato dall’Europeo tra le cabine sulla spiaggia di Rimini e nei salotti felliniani della letteratura, scrittore di culto per i giovani che finalmente vedevano l’orizzonte di una letteratura che parlasse di loro, delle loro aspirazioni e repressioni, dell’asfissia provinciale, dall’ incomunicabilità tra generazioni diverse. «La sua diversità, quello che lo distingue dagli amici del paese in cui è nato, non è tanto il fatto di non avere un lavoro, né una casa, né un compagno, né figli, ma proprio il suo scrivere, il dire continuamente in termini di scrittura quello che gli altri sono ben contenti di tacere. La sua sessualità, la sua sentimentalità si giocano non con le altre persone come lui ha sempre creduto, finendo ogni volta col rompersi la testa, ma proprio nell’elaborazione costante, nel corpo a corpo, con un testo che ancora non c’è». È la descrizione del lavoro intellettuale secondo Leo, scrittore protagonista di Camere separate, racconto di un giovane amore interrotto da un male invisibile che agli inizi degli anni 90 non poteva essere pronunciato. La stessa malattia che interruppe la carriera di Tondelli a soli 36 anni e la paura d’esser dimenticato, di non lasciare un segno nella storia della letteratura italiana.
Ecco una delle profezie tondelliane che non si è realizzata. Lui che a trent’anni, considerato come la novità del momento, fa da incubatore a una nuova generazione di scrittori ancora più giovani. Quando nel 1985 Tondelli Lancia su Linus il progetto Under 25 e l’antologia Giovani blues si fa promotore di una nuova generazione di autori che parlano del microcosmo giovanile: «Raccontate di voi, dei vostri amici, delle vostre stanze, degli zaini, dell’università, delle aule scolastiche». Ragazzi che usano un linguaggio personale, quello della strada, non quello dei tetragoni d’accademia (l’imbalsamato Gruppo 63): «State facendo i conti con un linguaggio fluido e magmatico che dovrete adattare alla vostra storia senza incorrere nello stile caramelloso della pubblicità o in quello patetico del fumettone». Ci penseranno nel 1996 i Cannibali Nove, Ammaniti, Pinketts e Santacroce a portare il linguaggio della pubblicità e del cinepulp nei libri. Forse l’ultima vera «lingua nuova» in letteratura e che si sarebbe esaurita presto perché troppo legata al periodo. Di Tondelli ancora si scrive, dei Cannibali no. Forse perché da allora la letteratura «giovanile» è solo imitazione sbiadita, citazionismo residuale, emulazione fallita dei fratelli più grandi. Ma questo bisognerebbe chiederlo a Tommaso Labranca.