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 2018  febbraio 23 Venerdì calendario

Se le scuole sono queste, meglio chiuderle

E se facessimo il contrario di quello che tutti i partiti dicono che bisogna fare? Se invece di riformare la pubblica istruzione aggiungendo ore, materie, insegnanti e bidelli, se invece di fare quelle cose che la ministra Valeria Fedeli e i programmi elettorali ritengono urgenti e necessarie (tut te ideate per compiacere gli addetti ai lavori, qualcuna per ammiccare alle famiglie, nessuna pensata nell’interesse dei ragazzi), chiudessimo le scuole? Se anziché inzuppare quelle spugne che sono i cervelli dei nostri figli con il terzomondismo mascherato da educazione civica, o costringerli a studiare sui libri di geografia che intere popolazioni sono condannate alla povertà per colpa del riscaldamento globale causato da noialtri occidentali e idiozie del genere, si lasciassero i loro neuroni liberi di scontrarsi con la vita reale? Se consentissimo alle povere anime innocenti di sviluppare un gusto proprio per il bello, l’arte e la letteratura, senza essere tutte condizionate dai medesimi schemi, come milioni di polli in batteria? 
PUGNO DI INVETTIVE 
Prima di inorridire o scandalizzarvi, andate in una buona libreria o su Amazon o un altro sito di commercio elettronico, e comprate e leggetevi questo libriccino di Giovanni Papini, che s’intitola proprio Chiudiamo le scuole! e per qualche miracolo dell’editoria italiana si trova ancora disponibile in commercio. Raccoglie un pugno di invettive del gran bastian contrario fiorentino che fu amico di Giuseppe Prezzolini (assieme al quale fondò la Voce), anarchico e futurista, interventista pentito, mangiapreti e poi terziario francescano, sempre e comunque individualista e antistatalista. Articoli scritti tra il 1911 e il 1914, tutti aventi per oggetto l’insegnamento obbligatorio e le sue vittime. L’età ultrasecolare non deve spaventare: la prosa di Papini va giù liscia come l’acqua, 
ti lascia sul palato il gusto monumentale di un Sassicaia e te la metti sul comodino al prezzo di un Tavernello (la versione cartacea, pubblicata dall’editore Luni, costa 9 euro). 
Insomma, pare davvero scritto oggi, e non solo per la qualità delle parole e la velocità con cui si fanno leggere, ma soprattutto perché la scandalosa ricetta papiniana è più adatta ai tempi odierni che a quelli di allora. Leggete qui: «Per i genitori, nei primi anni, le scuole sono il mezzo più decente per levarsi di casa i figliuoli che danno noia. Più tardi entra in ballo il pensiero dominante della “posizione” e della “carriera”». Quanto ai maestri, «c’è soprattutto la ragione di guadagnare pane, carne e vestiti con una professione ritenuta “nobile” e che offre, in più, tre mesi di vacanza l’anno e qualche piccola beneficiata di vanità. Aggiungete a questo la sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare impunemente, in capo alla vita, qualche migliaio di bambini o di giovani». Impulso che non sarà di tutti gli insegnanti, ma pochi fortunati possono dire di non averne avuto almeno uno così, capace di rovinargli giorni preziosi negli anni che avrebbero dovuto essere i più belli. E poi c’è lo Stato, che «mantiene le scuole perché i padri di famiglia le vogliono e perché lui stesso, avendo bisogno tutti gli anni di qualche battaglione di impiegati, preferisce tirarseli su a modo suo e sceglierli sulla fede di certificati da lui concessi». La deprimente morale è che «le scuole ci sono, fanno comodo, menano a qualche guadagno: ficchiamoci maschi e femmine e non ci pensiamo più». 
Il progresso non c’entra, è solo una nobile scusa: «La scuola, essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali. Solo per caso e per semplice coincidenza raccoglie tanta di quella gente! la scuola può essere il laboratorio di nuove verità». Essa è «così essenzialmente antigeniale che non ristupidisce solamente gli scolari, ma anche i maestri. Ripeti e ripeti dopo anni le medesime cose, diventano assai più imbecilli e immalleabili di quel che fossero al principio». Né quei «sinistri magazzini» riempiti di giovani indottrinati possono definirsi luoghi adatti ad apprendere l’etica. L’arte di mentire e leccare le terga a chi comanda, quella sì. «Gli unici risultati della convivenza tra maestri e scolari è questa: servilità apparente e ipocrisia dei secondi verso i primi e corruzione reciproca tra compagni e compagni». Per arrivare alla frase che da sola vale l’intero pamphlet: «L’unico testo di sincerità nella scuola è la parete delle latrine». 
DIPLOMA DA MAESTRO 
Papini ne scriveva per esperienza diretta. Frequentò la scuola, ma formò la propria cultura nella biblioteca del nonno e in quella di Firenze, scegliendosi da solo i libri da leggere. All’età di 18 anni prese il diploma da maestro, che gli consentì di avere per qualche tempo un posto da insegnante nell’istituto inglese della sua città. 
«Reclusori per minorenni» da abolire, dunque. «Dappertutto, dove un uomo pretende d’insegnare ad altri uomini bisogna chiudere bottega». E di quelli che «ci mangiano», che ne facciamo? Preoccupazione giustificata, siamo italiani. Il modernissimo Papini ha la soluzione pronta: «Daremo pensioni vitalizie a tutti i maestri, istitutori, prefetti, presidi, professori, liberi docenti e bidelli purché lascino andare i giovani fuori dalle loro fabbriche privilegiate di cretini di stato. Ne abbiamo abbastanza, dopo tanti secoli».