Il Messaggero, 26 febbraio 2018
Barcellona invasa da tossicodipendenti italiani. «Occupano gli immobili, gestiscono lo spaccio»
BARCELLONA Antonio ha 32 anni e lo sguardo perso che tradisce la lunga dipendenza dalle droghe. Si avventa con voracità sul piatto di fagioli nel comedor social, la mensa Reina de la Paz delle missionarie di Madre Teresa di Calcutta, nel quartiere del Raval di Barcellona. Il locale annesso alla chiesa Sant Agustì pullula di randagi e senzatetto, spagnoli e immigrati, uomini e donne, tantissimi turisti con lo zaino in spalla, autoctoni e nomadi. Tanti gli italiani nella file di almeno 300 persone tutti i giorni in attesa dalle 10 del mattino davanti alla chiesa. Antonio è uno degli occupas dei narco-pisos del Raval, gli appartamenti del vecchio Barrio Chino, di proprietà di banche o fondi di investimento, lasciati in abbandono dopo la crisi immobiliare e in mano ai signori dello spaccio.
«Ci sono tantissimi italiani», assicura un mediatore dell’Agenzia di salute pubblica di Barcellona. «Mentre qui il numero dei consumatori di eroina è diminuito negli ultimi 20 anni, la quantità di tossicodipendenti provenienti dall’Italia è altissima. Non sono solo eroinomani, ma consumatori polivalenti. Vanno in massa alle mense sociali, qualcuno nei centri di riabilitazione o accoglienza, quando sono ai limiti».
LO SPACCIO
L’ultimo a morire, un italiano di 34 anni, accoltellato a novembre per un regolamento di conti nel cuore della notte in via Princep de Viana, fra i vicoli ad alta densità criminale e spaccio, a due passi dalla Rambla, battuta ogni anno da 30 milioni di persone. Uno dei 50mila che risiedono nella città di Gaudì, anche se sono molti di più quelli non iscritti all’Aire, il registro dei connazionali all’estero. «Molti sono coinvolti nello spaccio, attratti dalla legislazione che non punisce il consumo personale e dalla possibilità di occupare le case dove lo spaccio è continuo», spiegano all’Agenzia del Comune. «Vivono di borseggi ai turisti che pullulano nel Raval, dove una dose di eroina costa solo 10 euro». Sono una cinquantina i narcopisos in un raggio di meno di un chilometro, in una situazione di tale conflittualità da aver indotto gli abitanti riuniti nell’Associazione RPR, dalle iniziali delle strade Robadors-Picalquers-Roig, epicentro dello spaccio, a organizzare narco-tour nel quartiere, per forzare un intervento delle autorità e dell’amministrazione.
«In un appartamento del secondo piano, in un’ora e mezza 195 persone sono entrate a farsi di eroina», ricorda Carlos, il presidente dell’associazione all’inizio del tour. «L’abbiamo documentato in un video e a ottobre l’appartamento è stato sgomberato e sequestrato, ma le siringhe restano disseminate ovunque. Quello, invece, appartiene alla mafia italiana», segnala Carlos Gonzalez, indicando un’altra casa al terzo piano dello stesso edificio. Drug dealers go away, gli striscioni esposti su alcuni balconi nella zona dall’associazione. L’Agenzia di Salute pubblica calcola siano almeno una quarantina i morti per overdose ogni anno nel Raval.
IL PIANO
«Molti sono italiani», giurano. E il plan de choque, il piano choc annunciato l’estate scorsa dall’amministrazione di Ada Colau, la sindaca di Barcelona en Comú, affine a Podemos, non è stato che un palliativo. Prevedeva, fra l’altro, l’ampliamento dell’orario di apertura di una sala di iniezione, un centro dove poter portare droga e bucarsi in condizioni igieniche sicure. «Vari dei narco-pisos, che hanno un impatto tremendo sulla vivibilità del quartiere, sono occupati da italiani», denuncia l’associazione dei residenti. «E quasi tutti quelli che vengono a drogarsi sono vecchie conoscenze dei servizi sociali, non sono giovani, ma gente che è qui ormai da anni».
A Casa Italia rilevano come sia facile scivolare nella dipendenza: «Molti ragazzi vengono in Spagna pensando che è molto facile trovare un lavoro, senza nessun tipo di formazione né di conoscenza della lingua. Una volta a Barcellona, scoprono che è possibile vivere senza denaro e a poco a poco abbandonano l’idea di ritornare in Italia, anche se non hanno trovato un’occupazione. Qui trovano risorse e aiuti, amici che li ospitano e quando tutto manca, resta la spiaggia dove passare la notte». Fantasmi di una marginalità made in Italy divenuta strutturale, che sopravvivono nel dedalo di vicoli del Raval. Fino al prossimo buco.