Il Messaggero, 25 febbraio 2018
In morte di Quilici
Se diverse generazioni amano il mare, le sue profondità, i colori dei suoi fondali e la mirabolante ricchezza di animali e vegetali che si animano tra onde e correnti, lo si deve principalmente a lui, al suo modo gentile e pacato di narrare, affascinare e, quindi, insegnare. Perché prima di tutto, Folco Quilici, che si è spento ieri a Orvieto a 87 anni, era un divulgatore. Giornalista, regista, documentarista, è stato un grande della cultura europea, e non a caso Forbes nel 2006 lo dichiarò una delle cento firme più influenti al mondo: collaborò con nomi di prima grandezza come gli storici Fernand Braudel e Renzo De Felice, archeologi come Sabatino Moscati, antropologi come Claude Lévi Strauss e scrittori come Mario Soldati, Italo Calvino e Ignazio Silone. Poi, sì, nel 1991, era diventato ufficialmente anche un professore, grazie ai corsi nelle Università di Bologna, Padova, Roma Tre e Berlino, alla Cattolica di Milano e al Centro Sperimentale di Cinematografia.
PUNTI DI VISTA
Ma per tutti, Quilici, nato a Ferrara dal giornalista Nello e dalla pittrice Emma Buzzacchi, entrerà nei libri di storia come l’uomo che svelato il mare. E non solo, ma tutta la natura..Ha segnato infatti nuovi sentieri, raccontato mondi prima di lui inesplorati, sorretto da una grande immaginazione e gusto dell’avventura nel pieno rispetto di natura, territori, popoli.
Ad affascinare i suoi occhi azzurri e la sua cinepresa, infatti, sin dal 1949 con il primo corto Pinne e arpioni, sono state le acque del Pacifico o del Mar Rosso. E quelle, altrettanto affascinanti e limpide, che bagnano luoghi più vicini come Ponza, Palmarola, le Cinque Terre. O le Egadi. Era dedicato al mare il Sesto continente, il primo film, ultimato a soli 24 anni nel 1954. Sempre in cerca di punti di vista originali per le sue storie, raccontò nel 1962 l’amicizia tra un ragazzo e uno squalo nel film Ti-Koyo e il suo pescecane. In Oceano, girato nove anni dopo in Polinesia, il protagonista parte su una piccola barca verso l’isola dei suoi sogni, ma viene trascinato dal vento e dalle correnti in Antartide. Due pellicole che hanno affascinato il pubblico e avuto riconoscimenti dalla critica cinematografica ma che sono state criticate dagli esperti (etologi nel primo caso, studiosi di venti e correnti nel secondo) per le trame poco plausibili. Ma Quilici dava poco peso a queste critiche. «Conta la bellezza della storia – sottolineava – E il pubblico mi ha sempre dato ragione».
STORIE
Sono in pochi a saperlo, ma nel cuore di Folco c’era anche la montagna. Era coetaneo di Walter Bonatti, un altro uomo che ha insegnato agli italiani a guardare lontano. Raccontava di trovarsi bene in montagna, e di aver praticato a lungo lo sci. Addolora che tra i suoi pochi insuccessi, in una carriera straordinaria, siano proprio i documentari sulle Alpi realizzati negli anni Novanta con il Club Alpino Italiano.
Dagli abissi alle vette più impervie, Quilici girò tutto il mondo, facendone conoscere la grande bellezza di cui era strenue difensore. Agli ecologisti dell’ultima ora, però, sapeva opporsi con fermezza prendendosela con chi «oggi pretende di salvare il pianeta standosene comodamente seduti in poltrona e senza interrogarsi sui propri consumi».
Appassionato di storia, e delle mille forme della vita e della cultura dell’uomo, diede vita per la Rai a serie dal taglio innovativo L’alba dell’Uomo, Alla scoperta dell’India e Islam, andate in onda anche su molte televisioni straniere.
PERSONALITÀ
«È importante stringere rapporti con le persone che gravitano attorno alle storie – diceva – perché da queste persone arrivano punti di vista diversi sui fatti, materiale vivo». Con questa filosofia sempre per la Rai ideò di un contenitore quotidiano che lui guidò dal 1981 all’89. Era nato Geo su Rai3, un programma di successo, poi ribattezzato Geo&Geo.
D’altra parte anche i suoi libri erano edizioni cartacee dei suoi documentari. E alcuni furono veri best seller come Cacciatori di Navi e Naufraghi, tradotti in molte lingue straniere. Ed è anche per questo che vinse come riconoscimento alla carriera, la Navicella d’Oro della Società Geografica Italiana, ricevuta nel 2008. Una carriera lunga che l’ha visto scrivere su molti giornali, tra i quali Il Messaggero.
Negli incontri pubblici, come nelle interviste, Quilici era un uomo affabile e sorridente. Sul lavoro invece aveva una fama di duro, sia con collaboratori e coautori sia con le produzioni e gli editori con cui doveva negoziare dei contratti. Era fondamentale, per lui, il rapporto con la moglie Anna, collaboratrice preziosa nei rapporti con produzioni ed editori, e coautrice delle biografie di Roald Amundsen e Jack London. Era fiero del figlio Brando, che ha seguito le sue orme diventando un videomaker e produttore famoso.
E la famiglia era il suo cardine. In Tobruk 1940, un libro del 2004, Folco Quilici ricorda la fine del padre, giornalista e inviato di guerra, morto quando lui aveva dieci anni. Nello Quilici fu ucciso in Libia, il 28 giugno 1940, mentre volava sull’aereo pilotato da Italo Balbo, abbattuto dalla contraerea italiana. «Sono serviti molti anni per decidermi ad affrontare quella storia – raccontò allora lo scrittore – La ricerca per scrivere quel libro mi ha fatto soffrire, ma mi ha aiutato a riconciliarmi con me stesso e il mio dolore di bambino».