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 2018  febbraio 25 Domenica calendario

Paolo Gentiloni: «Voto utile contro il populismo o si torna al passato»

Questo voto è una scelta di campo», non è una semplice consultazione elettorale. Da una parte i «valori della democrazia» e dall’altra il populismo e il sovranismo di centrodestra e Movimento 5Stelle. Quello di Paolo Gentiloni è qualcosa di più del classico appello che chiude tutte le campagne elettorali.
Ogni parola è pesata. E insieme ad esse compare sempre una smorfia di preoccupazione. Nel salotto color ocra di Palazzo Chigi sembra tutto bloccato in una pausa temporale rivolta ai risultati di domenica prossima.
E il suo ufficio non ha certo l’aria della smobilitazione. È pronto a restare? «Il mio impegno era concludere ordinatamente la legislatura. Il resto è nelle mani degli elettori e del capo dello Stato». La sua attenzione ora è rivolta ad altro.
A quella che definisce una «sfida» per il futuro del Paese. Il presidente del Consiglio per un momento si affaccia su piazza Colonna e prepara la sua partecipazione alla manifestazione organizzata dall’Anpi contro i fascismi. Poi si siede sul divano con alle spalle un enorme dipinto del seicento.
Lei venerdì è tornato da Bruxelles dove ha partecipato al Consiglio europeo. Ha stretto un nuovo patto con Macron e Merkel. La Ue è davvero così preoccupata dalle nostre elezioni?
«Senza chiamare in causa Merkel e Macron, c’è però la percezione che il voto di domenica prossima sia molto importante. Le forze che in Europa hanno avuto la meglio su populisti e sovranisti ci guardano con preoccupazione.
Ma con la speranza che anche in Italia si possa evitare quel rischio. La posta in gioco è altissima e bisogna averne la consapevolezza».
In che senso?
«Ho l’impressione che in questa campagna elettorale siano stati allestiti due palcoscenici. Sul primo va in scena il festival delle promesse mirabolanti, delle proposte assurde e qualche rissa. Sul secondo – a dir la verità un po’ oscurato – si gioca una sfida che riguarda il nostro futuro.
Uno scontro tra la possibilità di mantenere una ripresa economica accettabile, di avviare una seconda stagione delle riforme – e la minaccia di mandare a gambe all’aria tutti gli sforzi e sacrifici compiuti in questi anni».
Se la posta è così alta, non può solo riguardare le ricette di politica economica dei tre poli.
Il pericolo populista in Europa ha assunto derive di altra natura. Che toccano anche la convivenza civile.
«E infatti non è così. Quello è il primo aspetto. Ma c’è il secondo, ancora più importante. Riguarda i nostri valori. Quelli del centrosinistra. I valori democratici, liberali, della società aperta, del welfare, del dialogo con popoli diversi. Dall’altra parte – e non è mai stato così chiaro nella storia del nostro paese – ci sono l’odio, i muri, l’antieuropeismo, il sovranismo, la chiusura al dialogo. E riaffiorano vecchi fantasmi del passato».
Lei vuol dire che la vera posta di questa partita è la democrazia?
«Direi la qualità della democrazia.
In mezzo mondo si discute se la democrazia debba necessariamente coniugarsi con le società aperte. In Europa, in alcuni paesi dell’est non si rinnega il concetto di democrazia ma se ne mette in discussione il perimetro».
Per chiarezza: la formula “vecchi fantasmi del passato” va tradotta in fascismo? Magari riveduto e aggiornato in una sorta di 4.0?
«Non vedo ritorni al Duce, nè temo sparute minoranza di nostalgici.
Vedo un’idea che mitizza la sovranità nazionale – perfino in Europa – in chiave di chiusura verso l’esterno. Dobbiamo essere consapevoli che è questa la posta in gioco».
E questo quanto incide sulle elezioni di domenica prossima?
Centrodestra e Movimento 5Stelle sono l’espressione del rischio populista e sovranista?
«Si, anche se ciascuno a modo suo. E per questo non sono possibili voti a dispetto o in libera uscita. Questa è una scelta di campo. E solo il centrosinistra a guida Pd può essere la risposta a questa sfida. Solo le riforme possono attenuare il disagio sociale. Un disagio che non guarda a sinistra ma viene cavalcato dalla risposta sovranista.
Questa è la sfida per i progressisti nel mondo».
La spaventa la coppia Berlusconi-Salvini?
«Non mi spaventa. Mi preoccupano le posizioni populiste, nel centrodestra e nei Cinque stelle, che mettono in discussione i capisaldi democratici ed europei costruiti in 60 anni. In nessun paese europeo, tranne in Austria, c’è stata una saldatura tra la destra moderata e quella estremista.
Berlusconi usa ripetere che sarà lui il garante, ma i rapporti di forza con la Lega non sono paragonabili a quelli del passato. Nel 2008 Berlusconi prese il 37% e la Lega l’8%. Adesso la somma di leghisti e Fratelli d’Italia sembra superiore al partito di Berlusconi».
Il voto utile di cui lei parla farà arrabbiare D’Alema e Bersani. I vertici di Leu.
«Non è la prima volta che assisto a una scissione a sinistra. Questo però è un passaggio particolarmente doloroso – ci sono molte persone amiche che stimo – e più rischioso che mai. Non mi pare il momento di voti segnaletici».
Anche nel nostro Paese, come in altre aree d’Europa, sembra in corso una complessiva radicalizzazione, non solo politica ma anche sociale. Lo si capisce dagli ultimi episodi di cronaca. Si aspettava questa violenza? Le diverse manifestazioni di questi giorni sono il segno di un ritorno al clima che degli anni ’70?
«Queste sono azioni di minoranze estremiste e violente. Non è accettabile alcun alibi nei loro confronti e vanno contrastati come stiamo facendo: facendo rispettare la legge».
Il raid di Macerata era di chiaro stampo razzista.
«Contro il terribile delitto di cui è stata vittima Pamela Mastropietro e contro la tentata strage di stampo razzista, lo Stato ha fatto sentire immediatamente la propria presenza».
La sinistra, però, con quelle polemiche sulla manifestazione è apparsa incerta.
«Io ho risposto immediatamente, con forza e chiarezza. Minniti era a Macerata poche ore dopo il raid».
Lei parla delle prossime elezioni come di un bivio cruciale in cui si decide il futuro del Paese. Però sembra un crocevia in cui nessuno svolterà. Un voto senza un vincitore in grado di governare. Lei è pronto a restare a Palazzo Chigi?
«Ho preso un impegno con il presidente della Repubblica e con il Parlamento: concludere ordinatamente la legislatura.
Non era un vezzo, sarebbe stato poco responsabile interrompere un’azione di governo e mettere a repentaglio la ripresa economica.
Questo impegno finisce domenica.
Il resto è nelle mani degli elettori e del capo dello Stato».D’accordo, ma non è un mistero che questa legge elettorale non offra garanzie. In tutti gli schieramenti si prendono in considerazione alleanze trasversali dopo il voto.
«Noi chiediamo il voto per il centrosinistra a guida Pd. Non per questa o quella intesa. Anche la Merkel non ha mica fatto la campagna elettorale sventolando la bandiera della Grande Coalizione.
Ha chiesto i voti per il suo partito».
Proprio il suo partito, però, sembra aver perso i consensi che aveva ricevuto fino a qualche anno fa. Lei se lo è spiegato?
«In questi cinque anni ha dimostrato grande affidabilità. Si dimentica che la legislatura nel 2013 era nata morta. Il governo Letta si è formato nelle condizioni note, poi il presidente del consiglio è cambiato tre volte come accadde nel ’96-2001. Infine si è perso il referendum. Ma questo non può impedire di riconoscere che i governi a guida Pd abbiano prodotto una serie di riforme significative e risultati importanti. A cominciare dal tema immigrazione».
In realtà è un tema che sta pesando in campagna elettorale.«L’Italia ha dimostrato che si può sconfiggere il traffico criminale.
Sono drasticamente diminuiti gli arrivi e i morti in mare. Si è cominciato a rendere possibile la trasformazione di flussi irregolari gestiti da criminali in flussi controllati e sicuro. È solo l’inizio, ma è un ottimo inizio, apprezzato in tutta Europa».
Se è così perché non l’avete fatto prima?
«Abbiamo dovuto fare i conti con la chiusura delle frontiere e il dilagare dei muri. Ma abbiamo trovato la strada per rispondere. E ne sono orgoglioso. Come sono orgoglioso di avere messo in sicurezza le nostre banche di sistema. Da Mps alle Venete».
Il salvataggio di questi istituti perchè nel 2011-2012 il Paese era troppo debole. Abbiamo evitato al Paese uno shock finanziario. Se ci fosse stato, non oso immaginare cosa sarebbe successo. E invece siamo riusciti a dare struttura alla ripresa economica. Baste vedere i dati del settore manifatturiero. Solo la Germania è competitiva come noi. Un ultimo motivo di orgoglio: abbiamo rasserenato il clima. Lo dimostra tra l’altro la dinamica dei rapporti con i sindacati, il rinnovo dei contratti del pubblico impiego».
E perché tutto questo non si traduce in consensi?
«La traduzione dei numeri positivi in migliori condizioni per le famiglie e il lavoro è un processo lento. Basti pensare che ancora non siamo tornati al pil pro capite del 2006. E poi certo, ci sono anche motivazioni politiche come la sconfitta del referendum».
Molti nel Pd vedono in Renzi la causa di questo calo.
Banalmente dicono: risulta antipatico. E negli ultimi mesi Giorgio Napolitano e Romano Prodi sono stati espliciti – hanno pensato che lei potesse essere ufficialmente il candidato premier del centrosinistra.
«Non mi metto a strologare sul Pd a una settimana dal voto. Il partito ha una leadership, i rapporti tra me e Renzi sono più che buoni.
A Palazzo Chigi Matteo ha fatto un lavoro notevole. Poi è arrivata la sconfitta referendaria e le sue dimissioni. Se non fosse per quello, qui a parlare con lei, non ci sarei io.
Renzi e io abbiamo ben chiaro il significato della posta in gioco».
Lei è da quindici mesi a Palazzo Chigi. C’è qualcosa che le è mancato. C’è un aspetto della vita privata che aspetta di tornare a fare?
«Quando si assume questo ruolo, praticamente non si può fare niente altro, ma non mi lamento. Servire il proprio Paese è comunque un onore e un privilegio».