la Repubblica, 24 febbraio 2018
Soldini, l’uomo dei record. «Più forte del dio Nettuno»
LONDRA «In mare è Nettuno che comanda». E il dio dei flutti è stato abbastanza dalla sua parte.
All’arrivo della storica Rotta del tè, un tempo percorsa dai clipper dell’Impero britannico, Giovanni Soldini festeggia con lo champagne. Lo skipper milanese, prima traversata dell’Atlantico a 16 anni, due giri del mondo a vela in solitario, campione di tutti gli oceani, stabilisce un altro record: Hong Kong-Londra in 36 giorni, 2 ore, 37 minuti e 2 secondi, ben cinque giorni in meno del primato precedente. Barba lunga, scapigliato, orecchino al lobo, «molto stanco ma felice», sbarca al St. Catherine Dock, il molo di un famoso pub di Dickens, davanti al Tower Bridge, simbolica porta della capitale, e allo Shard, grattacielo più alto della metropoli, che visto da qui sembra l’albero di una nave e ha a sua volta per così dire un timoniere italiano, Renzo Piano che l’ha disegnato. «È un buon giorno per l’Italia», commenta John Elkann, venuto anche lui a festeggiare l’impresa, orgoglioso del Maserati Multi 70, lo scafo simile a un albatros che ha solcato 13mila miglia dal la Cina fino al Tamigi.
Come si sente, capitano Gio?
«È stata una grande avventura, con un grande equipaggio. La parte più dura è stata l’ultima, superato l’equatore, fra le Canarie e le Azzorre, quando Nettuno sembrava averci abbandonati: mare grosso, venti contrari, la barca era al suo limite, saltava sull’acqua, pregavo che non si rompesse nulla. Con condizioni più favorevoli, avremmo potuto guadagnare altri tre o quattro giorni».
Cosa vi ha permesso di battere il record?
«Forse la scelta dei tempi: partiti quando a Hong Kong era estate per arrivare a Londra quando è inverno. Poi una barca piccola e leggera, come numero di uomini e anche come masserizie, avevamo poco cibo, l’abbiamo razionato: ma così vai più forte, anche quando cala il vento. E infine un po’ di fortuna: perché in mare comanda Nettuno».
Passare il capo di Buona Speranza è dura come ai tempi di Vasco da Gama?
«Insieme a capo Horn, è uno dei punti più ostici del globo, l’incontro fra due oceani, due correnti, due venti. È una sfida per qualunque navigatore, oggi come cinque secoli fa, ma l’abbiamo superata».
A proposito di incontri, ne avete fatti anche di brutti?
«Niente pirati. Solo una barca con 6 pescatori affamati che ci hanno avvicinati lungo la costa della Sierra Leone: volevano roba da mangiare, ma gli è andata male, la cambusa era mezza vuota».
Come è stata la vostra alimentazione?
«All’italiana. Con me ai fornelli, per lo più: ho cucinato molta pasta. Ma come ho detto siamo stati a stecchetto, avevamo una dispensa ridotta all’essenziale. E le ultime due settimane senza caffè o tè sono state brutte».
E poi avete incontrato tanta plastica.
«Tanta. Troppa. A volte vere e proprie isole di plastica. È incredibile pensare che la usiamo da cinquant’anni e ha già invaso tutti i mari. Che tristezza».
In traversate così, quando capisci di avercela fatta?
«Soltanto all’arrivo. La notte scorsa, quando sono andato a dormire, senza riuscirci perché faceva troppo freddo, ho avuto la sensazione che la barca stesse per capovolgersi. Basta un’onda, un colpo di vento, un ostacolo. Si è rotto un timone, l’abbiamo riparato; si è rotto il radar, ne avevamo uno di riserva, ma se si rompeva anche quello addio record. Tutto può succedere. Per questo è un’avventura, non un viaggio».
E adesso lei i suoi quattro compagni di equipaggio che farete?
«Per un po’ ci occuperemo della manutenzione della barca, che ne ha bisogno. Poi ci prepareremo a un’altra avventura. Siamo marinai. Torneremo in mare».