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 2018  febbraio 24 Sabato calendario

Le mani dei boss sui falsi d’arte. «Un business da 200 milioni»

Roma Un falso Modigliani, perfetto come quelli esposti a Palazzo Ducale di Genova l’estate scorsa, può arrivare a costare anche un milione di euro. Per la copia di un inflazionato Vetriano bastano poche centinaia di euro. Ce n’è per tutti i gusti e di tutti i costi, ma a mettersi in salotto un falso d’autore ( non di quelli certificati come prevede la legge) spacciandolo per vero in Italia ci tengono molti di più di quanti si possa pensare: semplici impiegati, affermati professionisti o facoltosi imprenditori, boss e malavitosi. Un terzo dei quadri appesi alle pareti di casa di Massimo Carminati erano falsi Guttuso, Warhol, Mirò.
È un fatto, ed è un dato sorprendente, che nel 2017 il mercato dei falsi d’arte in Italia è lievitato come dimostra la cifra ( quasi quadruplicata) del valore economico delle opere. Da gennaio ad ottobre 2017, il numero dei falsi sequestrati ha raggiunto le 834 unità, cifra ulteriormente aumentata nelle ultime settimane dell’anno raggiungendo un valore prossimo ai 200 milioni di euro, quasi quattro volte di più rispetto ai 57 milioni di euro delle opere taroccate scoperte nel 2016. E nel novanta per cento dei casi si tratta di arte contemporanea, l’ambito di maggiore interesse per la criminalità che, come sempre quando il giro d’affari si fa interessante, ha messo lo zampino anche in questo business.
«Dove si possono fare soldi la criminalità si organizza con la sua filiera – dice il generale Fabrizio Parrulli, comandante dei carabinieri Tutela Patrimonio culturale – e il mercato dell’arte ha un suo peso. Il traffico illecito di beni artistici, dopo droga e armi, è certamente il più consistente. In qualsiasi Paese del mondo chi ha disponibilità economiche investe in questo campo anche per ossessione e compulsione di acquistare qualcosa di irripetibile da esporre in casa. Che sia un’opera vera trafugata o che sia un falso di valore. L’arte moderna è un settore molto sensibile alla falsificazione perché consente, con poche risorse e con canali di vendita facilmente accessibili come le vendite online o le aste in tv, una grande diffusione. È ovvio che un falso dipinto dell’ 800 ha bisogno anche di una tela dell’ 800 e dunque la sua contraffazione è molto più complessa».
Le 42 mila copie di opere di Gianfrancesco Gonzaga sequestrate in provincia di Bergamo in un’unica operazione qualche mese fa danno il senso dei numeri del mercato parallelo che si muove. Bastano poche strategiche pedine: un abile falsario, un esperto d’arte che tratta le opere, magari la stessa stamperia che in parte produce “copie d’autore” e in parte falsi, e qualche intermediario che sa dove e come poter smerciare le tele, in piccole case d’asta su tutto il territorio italiano, decine di siti online e le aste televisive. «C’è un vastissimo pubblico che acquista così – spiega il generale Parrulli – Noi non ci stancheremo di continuare a dare consigli per gli acquisti a chi è interessato e a dire che l’arte non vera non può essere arte. È un campo d’azione molto impegnativo, le procedura di verifica di queste opere sono spesso difficili e con esiti contrastanti e il business è diventato particolarmente remunerativo perché a fronte degli ingenti proventi della vendita di un falso spacciato per autentico anche le sanzioni di legge sono molto limitate».
In leggero calo, invece, i furti di opere autentiche o di gioielli antichi da reimmettere sul mercato nero. I musei si sono dotati di misure di sicurezza più sofisticate ma senza difese resta l’immenso patrimonio di chiese, palazzi antichi, siti archeologici sempre più preda della filiera criminale che, ai suoi livelli più alti, si muove quasi sempre su commissione. «I nuovi ricchi, soprattutto in paesi come la Russia, la Cina, il Giappone, ma anche il Nord America, sono spesso disposti a tutto pur di poter sfoggiare opere di provenienza furtiva. Rapine a mano armata, come l’ultima al museo di Verona nel 2016, hanno quasi sempre un destinatario preciso – spiega il generale Parrulli – Quelle opere, poi recuperate un anno dopo a Kiev, hanno attraversato tre paesi, Romania, Georgia e Ucraina e un percorso del genere può anche durare anni prima di arrivare a destinazione, con una lunga teoria di passaggi per ‘pulire’ l’opera e renderla appetibile sul mercato. L’Italia con le sue 40 mila chiese e il suo immenso patrimonio archeologico resta di gran lunga il terreno privilegiato d’azione dei predoni d’arte. Per questo chiediamo alle comunità locali di essere i custodi della nostra cultura».