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 2018  febbraio 24 Sabato calendario

Salvare gli orfani dell’Isis l’ultima battaglia di Kadyrov

Mosca Il volto del piccolo ceceno Bilal Tagirov era diventato virale lo scorso luglio. Dopo aver liberato Mosul dallo Stato Islamico, era stato ripreso mentre vagava tra le rovine e indicava la bandiera irachena tornata a sventolare sulla città. Per il piccolo Bilal, quello era il vessillo degli “infedeli”. Aveva solo due anni quando, nel 2015, il padre Hassan lo aveva portato con sé in Iraq per combattere nelle fila dell’Isis. Non conosceva altro che le bandiere nere.
Due settimane dopo, il 2 agosto, Ramzan Kadyrov ha organizzato il suo rientro a Groznyj. Da quando ha visto un video della tv Rt girato in un orfanotrofio iracheno, il leader ceceno si spende incessantemente per rimpatriare le decine di bambini russi rimasti intrappolati in Siria e in Iraq dopo che i loro genitori sono stati catturati o sono morti in battaglia.
Grazie a lui, questa settimana, 27 orfani e 4 vedove sono tornati da Baghdad, l’anno scorso oltre cento. Successi di volta in volta sbandierati da Kadyrov sul suo profilo Instagram da tre milioni di follower, prima che venisse bloccato perché sotto sanzioni, e dalla tv locale. «Tutti qui riconoscono che questo ritorno è stato possibile solo grazie alla volontà e all’autorità di Ramzan Kadyrov», ha detto un presentatore tv lo scorso autunno accogliendo in studio Khamzat, 6 anni, Abdullah, 5, Malik, 4, tre fratellini trovati in un orfanotrofio di Mosul da Zijad Sabsabi, inviato del leader ceceno. Due anni prima il padre aveva detto alla moglie di voler cercar lavoro in Turchia, ma la vera destinazione era l’Iraq.
Oltre 2.500 musulmani hanno lasciato il Caucaso per unirsi all’Isis in Siria o Iraq. Molti hanno costretto mogli e figli a seguirli, spesso con l’inganno. Ora decine, se non centinaia, di orfani sono rimasti arenati. Identificarli è difficile. Non hanno documenti e spesso non conoscono che il nome di battaglia dei loro genitori. E la loro vita è sempre più in pericolo. Per la popolazione vissuta sotto il giogo dell’Isis, sono i figli dei colpevoli di orrendi crimini. Dunque, complici.
Kadyrov moltiplica i suoi sforzi. L’ex ribelle separatista diventato l’uomo di fiducia di Vladimir Putin è noto per le continue violazioni dei diritti umani in Cecenia. Ma cerca di eclissare la sua reputazione di leader autoritario coltivando quella di difensore dei musulmani. È stato lui a mediare nel 2014 la liberazione di giornalisti russi del canale televisivo Life News arrestati in Ucraina. O a garantire un anno dopo il rilascio dell’equipaggio della petroliera russa “Mekhanik Cebotarev” sequestrata al largo della Libia. È allora che è nato il gruppo di contatto russo, composto da suoi fedelissimi, che ora cerca una soluzione al conflitto del Paese magrebino. L’anno scorso Kadyrov è arrivato persino a sfidare Putin per difendere i Rohingya: dopo che la Russia aveva bloccato una risoluzione Onu di condanna della Birmania, ha mobilitato decine di manifestanti a Groznyj e Mosca.
L’ultima battaglia: rimpatriare orfani e vedove dei foreign fighters. Alcuni sospettano che, insieme ai familiari dei jihadisti, stia riportando indietro uomini dei suoi servizi segreti inviati sotto copertura tra le fila dell’Isis. Groznyj smentisce. E Mosca la spalleggia. Dopo il salvataggio di Bilal, ha istituito una speciale commissione per raccogliere informazioni sui bambini dispersi. Molte famiglie che non avevano più notizie di figlie e nipoti sono venute allo scoperto. Avevano sempre taciuto perché essere parenti di un jihadista poteva esporle a ritorsioni, ma l’impegno di Kadyrov ha dato loro coraggio. «Prima avevo paura», ha raccontato Indira Karakaeva. Non vede suo figlio dall’aprile 2015, quando il marito lo ha portato con sé a Raqqa. «Sono disposta a fare di tutto pur di riaverlo».