Corriere della Sera, 24 febbraio 2018
È l’era della baby Zagitova. Kostner rimanda il futuro
PYEONGCHANG Dasvidiania, Carolina. L’étoile del Bolshoi di ghiaccio è una bambina russa di 15 anni con 26 giorni di troppo: il record dell’oro olimpico più giovane della patinoire olimpica resta in tasca a Tara Lipinski, l’americana tascabile che a Nagano ’98 aveva 15 anni e 255 giorni. All’età in cui le altre scrivono ancora il diario, Alina Zagitova si prende il mondo in tutù rosso e guanti lunghi da sciantosa, come femmina seduttiva non la dà a bere a nessuno però i sette tripli che stampa nell’aria della Ice Arena (inclusa la combinazione Lutz-Toeloop che è già un suo marchio di fabbrica) inducono la giuria a preferirla di 1,31 punti alla connazionale Evgenia Medvedeva, un’Anna Karenina convincente ed elegantissima, con lo stesso punteggio nel libero (156,65) ma meno strategica: la differenza minima, alla fine di un derby ad alta intensità, la fanno le braccia alzate nei salti piazzati da Alina a fine programma, supremo esercizio di stile. La canadese Kaetlyn Osmond, concreta ed atletica, è bronzo, prima in quel campionato delle altre dove Carolina Kostner si classifica onorevole quinta alla strabiliante velocità di 31 anni suonati ma lontana 19 punti dal podio, addirittura 27 dalla vetta. Mai in partita, insomma.
Zagitova è il primo oro degli Oar (Olympic athletes from Russia) ai Giochi, la cerimonia delle medaglie senza inno e senza bandiera la turba in silenzio («Di questo non parlo») e il secondo caso doping (la bobbista Nadezhda Sergeyeva, positiva alla trimetazidina, usata per curare l’angina) allontana l’ipotesi di vederla portabandiera della Russia sdoganata alla cerimonia di chiusura, mentre Medvedeva, 18enne moscovita più smaliziata, non si tira indietro: «Avremo anche la divisa Oar e l’inno del Cio, però tutti sanno chi siamo».
Le russian girls, è proprio vero, si sono fatte notare. Protagoniste assolute di un’Olimpiade sbranata da subito, dal corto della gara a squadre, e costretta a cambiare marcia sotto i colpi della loro tecnica sopraffina. «Se per i maschi ormai il quadruplo è un must, grazie ad Alina e Evgenia tra quattro anni molte donne faranno il triplo Axel» osserva la Lipinski, una che se ne intende. Molto lodata dalle nipoti («È un modello da imitare, una fonte d’ispirazione»), zia Carolina chiude la quarta Olimpiade con molti errori (anche ieri mani sul ghiaccio sulla prima combinazione) e la sensazione diffusa di non averci mai creduto sul serio. «Il punto non è trovare la perfezione ma scoprire i propri limiti – ha detto —. Due anni fa sono ripartita da zero, non sapendo se il corpo avrebbe seguito il mio progetto. Ho trovato un equilibrio speciale. Spero che la mia storia possa essere di motivazione per chiunque si trovi in difficoltà». Il riferimento è alla squalifica per il doping di Alex Schwazer, l’ex fidanzato che non nomina mai («Con gli anni trovi le strategie per sorridere anche nei momenti bui»), quei 19 mesi di stop che, paradossalmente, le hanno allungato la carriera. Tra un mese, sulla pista del Mondiale di Milano, ritroverà le stesse avversarie e il medesimo ricordo di sé, pieno d’orgoglio però un po’ sbiadito: una straordinaria campionessa con un grande avvenire alle spalle. Le giapponesi cresceranno, la coreana pure, dalla miniera di Mosca usciranno altre baby russe mannare. Ma finché il ghiaccio non si scioglie («Chi l’ha detto che questa è la mia ultima Olimpiade?»), Carolina sarà ghiaccio.