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 2018  febbraio 24 Sabato calendario

L’Eni fa rientrare la nave bloccata: minacce dai turchi

La nave Saipem 12000 affittata da Eni per l’esplorazione nelle acque al largo di Cipro e bloccata da giorni da cinque navi militari turche «è costretta a rientrare». Il ministro dell’Energia cipriota ha spiegato come gli sforzi diplomatici, anche dell’Unione europea, non siano riusciti a rompere lo stallo. «Abbiamo fatto un estremo tentativo, ma trovare un’intesa non è stato possibile a causa della Turchia», ha detto ieri il ministro cipriota. L’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi aveva anticipato che se la situazione non si fosse sbloccata avrebbe rinviato l’esplorazione spostando la Saipem 12000 verso altre destinazioni.
MILANO Lo stallo sul caso della Saipem 12000, bloccata dai turchi al largo di cipro dal 9 febbraio scorso, doveva prima o poi rompersi, e così è accaduto. Molta tensione, secondo le versioni dei fatti, dure reazioni diplomatiche dalla Grecia, da cipro e dal Consiglio dei capi di governo Ue in corso a Bruxelles (presente Gentiloni), ma nessuna conseguenza su uomini e attrezzature. Dopo essersi mossa, l’imbarcazione per le perforazioni petrolifere e di gas noleggiata dall’Eni si è rifornita nel porto cipriota di Limassol e si è poi diretta verso il Marocco, dove un altra area di operazioni l’attende. 
Secondo la versione avallata dal ministro cipriota dell’Energia Yiorgos Lakkotrypis, la Saipem 12000 avrebbe effettuato «con grande determinazione» un ultimo tentativo di dirigersi verso il «blocco 3», il tratto marino per il quale l’Eni ha la concessione, ma sarebbe stata quasi immediatamente bloccata dalla Marina turca. Ben cinque navi da guerra, secondo le affermazioni di un portavoce del governo di Nicosia. Non sarebbero neppure mancate minacce di ricorso alla forza e di collisione. Per evitare guai peggiori o incidenti alla Saipem 12000 non sarebbe restato altro che invertire la rotta e, appunto, rifornirsi a terra per poi dirigersi altrove.
Così, a poche centinaia di chilometri della guerra siriana, lo scenario mediorientale aggiunge un altro elemento di tensione, che isola Ankara. Difficile, a questo punto, che si possa tenere l’incontro tra l’Unione Europea e la Turchia previsto a Varna, in Bulgaria, il 26 marzo. Il presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, è stato chiaro in proposito: Ankara deve «terminare queste attività», mentre cipro (Paese membro dell’Ue, mentre la parte settentrionale è dal 1974 sotto un regime filo-turco) ha il pieno diritto «di esplorare e sfruttare le sue risorse naturali in accordo con l’Ue e il diritto internazionale». In precedenza erano stati ancor più decisi, nelle loro repliche, sia il governo di Nicosia sia quello greco. Il premier Alexis Tsipras, sempre da Bruxelles, aveva sostenuto la necessità di inviare un «messaggio chiaro» alla Turchia, tracciando una «linea rossa» che coincida con «la sovranità degli Stati membri dell’Unione».
Se la diplomazia si complica gli interessi in gioco sembrano però ben delineati, e riguardano la ricca area del Levante dalla quale, dopo le scoperte degli ultimi anni (non ultima quella del giacimento in acque egiziane di Zohr, la maggiore del Mediterraneo, effettuata dall’Eni) la Turchia non vuole essere tagliata fuori. Fino ad oggi cipro, Israele e Libano hanno proseguito sulla loro strada, forti anche del fatto di avere coinvolto nelle concessioni non solo l’italiana Eni, ma anche la francese Total, la britannica Bp, il gigante Usa Exxon e da ultimo persino la russa Rosneft. Erdogan contesta la «zona economica esclusiva» di cipro, e non ha neppure digerito la prospettiva di un accordo intergovernativo Italia-Grecia-cipro-Israele per il gasdotto «East-Med» che dovrebbe essere siglato definitivamente quest’anno. Ma per ora la strada della mediazione assomiglia più a un vicolo cieco.