Corriere della Sera, 24 febbraio 2018
33 centesimi
Mentre i partiti si scannano su quanti compassi massonici hanno in lista e su chi corrompe o rimborsa chi, là fuori scorre la vita. A Taranto – raccontano sul Corriere Laura Bonani e Fabio Savelli – si è scoperta l’esistenza di un call center che pagava i dipendenti 33 centesimi l’ora. Lo riscrivo per esteso, così magari riesco a crederci: trentatré centesimi l’ora. Forse solo con i cucitori di palloni del Bangladesh si era scesi tanto in basso nel valutare il lavoro di un essere umano. Schiavismo? Ma nella Taranto dell’antichità gli schiavi godevano di un trattamento economico decisamente superiore. Vitto e alloggio pagati. E la garanzia di potersi recare in bagno nelle occasioni in cui la fisiologia lo richiede. Invece per gli operatori di quel call center ogni capatina al gabinetto comportava la decurtazione di un’ora piena di paga.
Mi domando perché questo genere di notizie non scandalizzi più nessuno. Nella società partecipativa di mezzo secolo fa, le piazze e i politici si mobilitavano al primo accenno di sfruttamento. Forse si esagerava in un verso. Ma adesso? La nostra società atomizzata considera inevitabile che un povero cristo, pur di essere inserito nelle statistiche alla voce «occupato», debba accettare stipendi da 33 centesimi l’ora, al netto dei problemi di prostata. E debba pure ringraziare quelli che lo affamano di non avere ancora spostato il lavoro in un altro Paese, dove c’è chi si accontenterebbe di prenderne 32.