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 2018  febbraio 25 Domenica calendario

Erdogan vuole il Nord della Siria. L’obiettivo: eliminare la resistenza curda dal confine siriano

Quando la battaglia della Ghouta, in un modo o nell’altro, sarà finita, in Siria comincerà una guerra molto diversa, quella delle frontiere. I ribelli anti-Assad sostenuti dalla Turchia si stanno già preparando. I sogni «rivoluzionari» sono sepolti da un pezzo. Sanno di essere pedine di un gioco più grande, fra le potenze regionali e mondiali. E come tali si devono muovere. Nello spicchio nord-occidentale della Siria il gioco è condotto da Ankara. La battaglia attorno ad Afrin è l’aspetto visibile, dietro lo schermo della frontiera i preparativi vanno verso la creazione una zona cuscinetto più profonda, con due punti critici: le città di Idlib e Manbij, i veri obiettivi strategici.
I dettagli filtrano nelle retrovie in Turchia, a partire dalla provincia di Hatay, attraverso i contatti fra i siriani rifugiati e i combattenti in Siria. La dirigenza turca è convinta che Bashar al-Assad, una volta eliminate le sacche interne, la Ghouta e poco altro, andrà davvero all’assalto verso le frontiere per recuperare «ogni centimetro quadrato di territorio». L’offensiva, salvo sviluppi imprevisti, scatterà alla fine della primavera. Mosca è prudente, cerca l’equilibro, ma l’ala oltranzista del regime iraniano spinge in questa direzione. Lo si è visto ad Afrin, dove le milizie sciite hanno convinto il raiss a schierarsi con i curdi dello Ypg, e costretto i russi ad adeguarsi.
La contromossa di Ankara è di mettere in sicurezza la sua zona cuscinetto. Ci sarà ancora un’azione diplomatica, con pressioni sui russi, ma soprattutto azioni militari. Fonti sul terreno confermano. I turchi sono presenti con truppe speciali e reparti corazzati a Bulbol, Azaz, Marea, attorno ad Afrin; a Jarabulus, Al-Bab, Qabasin, attorno a Manbji; e a Sarabiq, Marraat al-Numan, Khan Sheikhoun, con posti di osservazione e piccole basi avanzate, attorno a Idlib. Sono tre manovre avvolgenti. Una è «calda», verso ad Afrin. Le altre sono destinate a scattare.
Il punto più critico è Manbij. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan l’ha citata decine di volte nei suoi discorsi per preparare l’opinione pubblica. Ancora venerdì, con un attacco senza precedenti agli Stati Uniti, accusati di «mentire sempre», perché non hanno ancora scaricato i loro alleati curdi. Vuole che facciano ritirare i guerriglieri dello Ypg dalla città, strappata all’Isis nell’estate del 2016. Li vuole perlomeno a «Est dell’Eufrate». Il problema è che a Manbji c’è anche una base con militari americani, soltanto un quarantina pare, ma una presenza ingombrante.
I ribelli che fanno riferimento al cartello Jaysh al-Khor, l’esercito libero siriano, hanno però ricevuto l’ordine di prepararsi. La popolazione araba nella città, circa l’80%, mostra segni di insofferenza. I servizi sono scadenti, c’è elettricità per poche ore al giorno, il consiglio comunale è dominato dal Pyd, il braccio politico dello Ypg. «Se ci dovessero esserci attacchi contro i curdi la situazione per gli americani diventerebbe insostenibile», è la tesi. A quel punto il piccolo contingente sarebbe costretto a ripiegare a Est dell’Eufrate, e i combattenti curdi, fra «i 300 e i 600 al massimo», sarebbero soverchiati da ribelli, commando turchi e cellule in sonno nella città.
L’aspetto politico è più problematico. Ma Erdogan sembra sia convinto che alla fine gli americani molleranno i curdi. Per una ragione. La crescente influenza iraniana. In fondo, fanno notare le fonti, i curdi sono una popolazione di ceppo iranico, Teheran ha già riallacciato i rapporti con i curdi iracheni. Gli ayatollah sognano di portare l’intero mondo curdo dalla parte dell’asse «della resistenza». E poi l’ideologia dello Ypg è socialista e anti-americana, l’alleanza con il Pentagono è vista come «opportunistica, contro natura».
Il dramma di Goutha
Intanto nelle provincia di Goutha infuriano le bombe di Assad: il grande sobborgo a est della capitale in mano ai ribelli ha contato oltre 500 morti. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dopo giorni di trattative ha chiesto una tregua di 30 giorni per ragioni umanitarie. Decisivo il via libera della Russia, che per giorni aveva minacciato il veto sulla risoluzione.
Il fronte di Idlib
A Idlib Ankara deve sbarazzarsi prima di tutto dell’Al-Qaeda siriana che ora opera sotto la sigla Hayyat al-Tahrir al-Sham. Per farlo ha creato una nuova formazione ribelle, nata dalla fusione di due gruppi, jihadisti pure loro ma nemici di Al-Qaeda: Ahrar al-Sham e Al-Zinki.
Dovranno fornire la fanteria, appoggiata da forze speciali turche, per prendere la città, dove fra rifugiati e gente locale ci sarebbero un milione di persone. Anche qui la situazione è disastrosa, «c’è elettricità al massimo per due ore al giorno e non c’è più acqua potabile». Se anche Erdogan si prenderà il suo spicchio di Siria, sarà una distesa di rovine e miseria.