La Stampa, 25 febbraio 2018
Voci e sogni del Paese che voterà
Il pendolare dell’Intercity voterà per protesta, il pescivendolo di Catania freme in attesa delle urne, il fedele prega Sant’Antonio affinché «ci liberi dai politici», il manager di Piazza Affari descrive un’Italia «desertificata» e la giovane portacibo di Torino spera nel reddito di cittadinanza: sono alcuni dei volti dell’Italia 2018 descritti dai reportage realizzati dei nostri cronisti negli ultimi 14 giorni. È un viaggio da cui esce un ritratto a tinte forti della nazione che il 4 marzo è chiamata a eleggere il nuovo Parlamento: divisa da bisogni, speranze e fedeltà politiche è però accomunata da una forte volontà di cambiamento con la quale ogni partito e leader sarà chiamato a fare i conti.
Per comprendere da dove nasce lo scontento bisogna entrare nel «Lillo Caffè» di viale Marconi, a Roma, dove il titolare Valter Ranatelli dice di «aver perso ogni illusione» a causa di crisi economica, peso delle imposte, tradimenti della sinistra e illusioni della destra. Francesco Micheli, 81enne storico finanziere a Milano, parla di «un’Italia desertificata» a causa di «troppe grandi e piccole imprese che se ne stanno andando, le due più grandi banche controllate da stranieri e il flusso del denaro che va solo in una direzione: fuori».
Sono descrizioni spietate del malessere che alberga nel cuore e nella pancia di un’Italia che a Vicenza ha subito la ferita delle banche. Ed è qui che l’avvocato Renato Bertelle, uno dei pochi che osava contestare Gianni Zonin durante il suo «regno», finanziario, rimprovera tutti i partiti: «Il collasso di questa banca non è stato tema di campagna elettorale» a dispetto di migliaia di risparmiatori truffati. E dimenticati. Nelle officine di Brescia lo scontento porta a guardare alla Lega. Mattia Tononi, 24 anni, dice: «Voto per Matteo Salvini perché parla chiaro su immigrati ed occupazione, incarna il cambiamento». Alexandro Blay, fresatore, è lapidario: «Solo a destra c’è chi si occupa del nostro futuro». Domenica Savoldi, 54 anni, invece vota a sinistra: «Ma non per Matteo Renzi che per noi operai non ha fatto nulla, a mia nipote, 30 anni di età, grazie al Jobs Act hanno appena tolto il contratto. Ma come si fa?». Tappa dopo tappa, consumando centinaia di chilometri lungo la Penisola in un viaggio che termineremo all’apertura delle urne, i nostri cronisti sono entrati nel mercato del pesce di Catania dove Enzo Napoli, 52 anni di età, in gran parte passati dietro il banco, assicura: «Non vedo l’ora di andare a votare, dobbiamo farlo per cambiare, finora chi c’è stato non ha fatto nulla». E dunque voterà per i Cinquestelle di Luigi Di Maio. Sull’Intercity in viaggio da Reggio Calabria a Torino il 58enne Filippo, impiegato marittimo di Messina, parla la stessa lingua: «Sono stanco di scegliere fra la padella e la brace, stavolta voto Cinquestelle, diamo una chance a questi ragazzi, non mi dispiacerebbe un’alleanza fra Lega e Di Maio». Sul Frecciarossa i passeggeri parlano di programmi carenti.
È il caso di Leonardo Pellegrini, ingegnere di 46 anni, che pronuncia una sentenza severa sulle offerte elettorali: «Le priorità dell’Italia sono tre, mobilità sostenibile, tutela dell’ambiente e sviluppo del turismo» peccato che «nessuno ma proprio nessuno si fa carico dei miei sogni». A Bologna fra i lavoratori della Coop c’è Alessandro Petrolati secondo cui «i governanti hanno dimenticato la gente fuori dai palazzi», a Padova fra i fedeli in fila davanti alle reliquie di Sant’Antonio ci sono Renzo e Marisa, marito e moglie: «Preghiamo il Santo affinché ci liberi dai politici». Vicino a loro, una professoressa aggiunge: «Voterò centrodestra, spero nell’unità degli italiani intorno alla civiltà greco-latina, cristiana ed europea». Sono singole voci, ognuna diversa, ma ne esce il mosaico di una comunità nazionale accomunata dalla protesta verso i partiti tradizionali, dalla volontà di cambiare e dal desiderio di «avere più sicurezza» come riassume una ventenne commessa dell’outlet di Serravalle Scrivia.
Colpisce quanto i risultati ottenuti dagli ultimi governi guidati dal Pd – ripresa della crescita, calo dei migranti e nessun attacco terroristico – manchino nelle conversazioni di gran parte degli intervistati, che esprimono invece sentimenti frutto della sensazione di essere stati abbandonati, dimenticati. Antonio Benvenuti, console dei camalli a Genova, lo dice così: «Per la prima volta, a un mese dal voto, nessuno ci ha chiesto di poter usare la Sala Chiamata per un incontro elettorale». «Il voto mette ansia perché è difficile sentirsi rappresentati in Italia» osserva Maria Carmela, 31 anni dipendente di una start-up a Torino, e la web designer Greta, 37 anni, concorda: «Non mi sento tutelata come lavoratrice autonoma e donna». Cecilia, neolaureata e fattorina di cibo a domicilio, ammette di «sperare oramai solo nel reddito di cittadinanza» lasciando intendere che è una scelta per difetto: non vi sono in giro offerte politiche migliori. Una sua collega avanza un’unica obiezione: «Forse Emma Bonino è diversa». Sono queste le voci dell’Italia che fra sette giorni andrà alle urne: una radiografia parziale e non scientifica, ma che fa emergere in maniera nitida come il fattore entusiasmo giochi contro i partiti tradizionali.