il Fatto Quotidiano, 26 febbraio 2018
Senza una riforma il Brasile sarà travolto dal peso delle sue pensioni
Il presidente brasiliano, Michel Temer, è stato costretto a mettere nel cassetto la sua riforma del sistema pensionistico, anche dopo una serie di diluizioni al progetto originario. L’ultimo scacco si deve alla peculiare natura del processo legislativo sulla spesa pubblica, per modificare la quale serve un emendamento costituzionale votato dai tre quinti degli appartenenti a ciascuna camera del Congresso, che tuttavia non può avvenire se è in corso un intervento federale. Temer ha infatti disposto l’utilizzo dell’esercito nella zona di Rio De Janeiro per contrastare un’ondata di crimini violenti, il primo intervento militare dopo il ripristino della democrazia, nel 1985. Già prima della calendarizzazione del voto nella camera bassa, poi sospeso, l’esecutivo mancava di circa 40 voti sui 308 necessari. A dicembre 2016 Temer, succeduto a Dilma Rousseff, ha presentato la prima proposta di riforma: età minima di pensionamento di 65 anni, per uomini e donne, contro i circa 54 anni di età media attuale di uscita. Un pensionato brasiliano di 55 anni può contare su un assegno di circa il 70% dell’ultima retribuzione, contro una media Ocse di poco più del 50%. La riforma prevedeva anche il dimezzamento della pensione di reversibilità per il coniuge superstite, oggi pari alla pensione intera del deceduto. L’insieme di queste misure avrebbe fruttato risparmi per 800 miliardi di reais, pari a 240 miliardi di dollari, in un decennio. Dopo proteste anche violente, Temer ha diluito l’impianto della riforma, permettendo alle donne di pensionarsi a 62 anni, ma i voti del Parlamento sono mancati anche in questo caso. L’ultima versione della riforma, quella bloccata, con risparmi di spesa dimezzati nel decennio rispetto alla prima formulazione, prevede che i lavoratori rurali e le vedove di agenti di polizia morti in servizio rimangano nel regime attuale.
La spesa per pensioni è su una traiettoria insostenibile: rappresenta un terzo degli esborsi federali prima degli interessi sul debito, il 9,1% del Pil. Il Brasile sta invecchiando e non può più permettersi questi trattamenti: entro il 2060 gli over 65 cresceranno da 17 a 58 milioni di persone; le pensioni assorbiranno un quinto del Pil ma già nel 2030, secondo la Banca Mondiale, in assenza di riforma, divoreranno l’intero bilancio federale.
Chi succederà a Temer, con le elezioni a ottobre, avrà vita dura a quadrare i conti anche a livello di capitoli di spesa perché l’attuale presidente, nel 2016, ha fatto approvare una riforma costituzionale che per 20 anni azzera la crescita della spesa pubblica al netto dell’inflazione. Il fatto che Temer, coinvolto a sua volta nel gigantesco giro di tangenti dello scandalo Lava Jato, abbia una popolarità intorno al 5% e sia politicamente morto, non esimerà il suo successore (forse lo stesso Lula, malgrado la condanna in primo grado per corruzione) a fare i conti con la realtà.