il Fatto Quotidiano, 26 febbraio 2018
La carbonara è un piatto yankee (ma non ditelo ai miei bisnonni)
Ma è vero che la Carbonara l’hanno portata a Roma nel ’44 gli americani, insieme alle Lucky Strike, lo swing e il boogie woogie? La tesi, divenuta popolare sul web e confermata da antropologi e chef televisivi, è autorevolmente supportata da Marco Guarnaschelli Gotti, autore della Grande enciclopedia della gastronomia: “Quando Roma venne liberata la penuria alimentare era estrema, e una delle poche risorse erano le razioni militari, distribuite dalle truppe alleate; di queste facevano parte uova in polvere e bacon, che qualche genio ignoto avrebbe avuto l’idea di mescolare condendo la pasta”. In realtà qualcuno si è già attribuito il titolo di genio inventore della Carbonara. È, o meglio era, lo chef bolognese, Renato Gualandi “gran cancelliere della Commanderie des Cordons bleus” spentosi un anno e mezzo fa a Riccione a 95 anni, che fino all’ultimo rievocava con la stampa: “Insomma mescolo tutto con crema di latte, crema di formaggio e finisco con una spolverata di pepe nero, a tavola, ci sono anche i generali Harold Alexander e Sir Oliver Leese, si festeggia la liberazione di Riccione: gli spaghetti vengono un po’ bavosetti, è un successo”.
Del resto anche lo scrittore palermitano Davide Enia, nel suo libro Uomini e Pecore aveva già messo alla questione parole finali: “L’età media dei soldati americani era di 19 anni – spiega Enia in un’intervista – gli mancava casa, hanno trovato gli ingredienti della colazione americana e li hanno messi sulla pasta”. Stante le conclusioni, raggiunte qualche sera fa anche dai giovanissimi ascoltatori dell’emittente romana Radio Rock, la definizione da inserire nelle moderne enciclopedie di cucina on line, alla voce “Carbonara” potrebbe essere la seguente: “Piatto principe della cucina romana nato nel secondo dopoguerra dal fortunoso incontro fra gli ingredienti della tradizione culinaria yankee e la pasta e miscelati dal genio di un giovane oste bolognese a Riccione”. “Ma che me dici, davero davero? Nipote mio me sa tanto che te stanno a cojona’” mi direbbero i miei bisnonni, “trattori” a Roma agli inizi del 900 e eredi di una tradizione culinaria tanto umile e popolare da non avere una “storia”.
E sì perché trovare le vere origini della Carbonara è come pretendere di stabilire chi fu il primo a mettere insieme la pasta con i fagioli o il basilico nel pesto. II carbonaro si accollava per scale e androni i sacchi di carbone per le stufe da cucina delle vecchie case romane e spesso raccimolava un cartoccio di cibo, magari un uovo, una fetta di grasso rancido, un pezzo di formaggio. Gran parte dei piatti romani sono il risultato di questo “riciclo” degli scarti delle tavole più nobili. E la ricetta? A ben guardare racchiude gli ingredienti di un’antesignana del sugo all’amatriciana: la “Gricia”, evolutasi con l’arrivo del pomodoro, questo sì dalle Americhe. La ricetta della Gricia è da tempo immemorabile guanciale saltato in padella e pecorino. Chissà che nel corso dei secoli a un pastore errante degli Abruzzi o a qualche cuoca dei dintorni, non sia venuto in mente di sbatterci dentro un uovo, tanto per arricchire il pranzo domenicale?