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 2018  febbraio 26 Lunedì calendario

Vita sospesa di Lady Golpe: Vi prego, fatemi uscire

Lady Golpe vive in due camere e cucina al quartiere Trionfale, a Roma, con il figlio che non l’ha mai abbandonata, un cagnolino e l’incubo dello sfratto per morosità. Fa avanti e indietro con l’ospedale perché l’anoressia che aveva fin da ragazza l’ha ridotta pelle e ossa, gli occhi sempre più incavati. “Rischio – dice – un altro ricovero”. Sa che il mondo l’ha dimenticata, un po’ le dispiace ma forse anche lei vorrebbe dimenticarsi di sé stessa, di quella che era, dell’idea dei soldi facili, della pretesa di farla sempre franca. “Ero una che non pensava mai alle conseguenze di quello che faceva, lo facevo e basta”, racconta oggi, a 59 anni, sofferente ma anche combattiva.
A un quarto di secolo dai fatti che la resero celebre, Donatella Di Rosa sta ancora scontando la pena. Una pena tutto sommato lieve, quattro anni e quattro mesi per due condanne per calunnia (prescritta l’autocalunnia e la truffa), roba per cui un incensurato in genere non va in galera. Lei invece, che tra diffamazioni e appropriazioni indebite qualche altra piccola condanna l’ha avuta, in galera ci è andata, sia pure per pochi giorni, ma molto tardi, nel 2015, perché la giustizia è lenta e dopo tanti anni nessuno la cercava. Ora è in detenzione domiciliare: “In carcere sarebbe molto peggio, lo so, ma non posso lavorare, ho solo qualche ora di permesso la mattina, così non riesco neanche a curarmi”, dice nello studio del suo avvocato, Antonio Morelli di Roma.
Anno 1993. Donatella Di Rosa, bergamasca, occhioni azzurri e parlantina svelta, raccontò al procuratore di Firenze Piero Luigi Vigna e ai giornali la trama di un traffico d’armi e di un improbabile golpe da operetta, che nel Paese dei golpe da operetta ci poteva anche stare, nel quale erano coinvolti suo marito, il tenente colonnello dell’Esercito Aldo Michittu, il comandante dei parà della Folgore e altri ufficiali, con la partecipazione di un neofascista dei Nar, Gianni Nardi, che risultava morto in Spagna da tempo ma non tutti ci credevano. Sembrava credibile: Michittu era stato legato alla madre di Nardi. Fu riesumato il cadavere, che invece era proprio quello di Nardi. E soprattutto ci fu un mezzo terremoto nelle forze armate, con rimozioni, dimissioni e processi per alto tradimento poi conclusi nel nulla. I coniugi furono arrestati ma durò poco. “Ventitrè giorni”, ricorda lei.
Lady Golpe finì su tutti i giornali e in tv, scrisse un libro, posò mezza nuda su Playmen, finì addirittura sul palco di un localaccio romano in cui credevano che si spogliasse e la trattarono malissimo quando rifiutò. Poi sparì, legandosi a un imprenditore toscano: “Lavoravamo insieme nel settore immobiliare, lavoravo 12 ore al giorno, ma io non dovevo figurare, usavo un altro nome. Così mi ha portato via tutto e un bel giorno ci ha messo in mezzo alla strada: io, mio figlio e il cane”. È rimasta con qualche scrittura privata in mano, un anno fa ha sporto denuncia a Siena con l’assistenza dell’avvocato Morelli. Si vedrà.
Intanto, però, i processi erano andati avanti. Le accuse di eversione caddero, rimasero quelle di calunnia ai danni del generale Franco Monticone, il comandante della Folgore, amante e vittima della signora che gli spillò nel tempo 800 milioni di vecchie lire con la scusa che doveva lasciare il marito, prendere casa, annullare il matrimonio alla Sacra Rota. “Seguivo mio marito, ho sbagliato, lo so, non c’era nessun golpe, volevamo solo i soldi di Monticone”. Michittu a Firenze patteggiò un anno e quattro mesi. Lei prese due anni e otto mesi, ridotti a due anni e due con l’indulto.
Quando nel 2011 è arrivata la seconda condanna definitiva, ancora per calunnia ma a Bologna per la storia di un assegno scomparso, lei non c’era. “Lei non ci crederà ma io non sapevo niente di quel processo, avevo dato la procura speciale all’avvocato”, cioè ad Antonino Iuvara, che per un po’ è stato anche il suo compagno e oggi non è più fra noi. Nessuno l’avrebbe mai cercata. Qualche anno dopo, nel 2015, l’hanno beccata per caso i carabinieri che dovevano fare un controllo sul figlio. Lei si è presentata, ha detto di essere latitante: due giorni di carcere, poi l’ospedale e i domiciliari per motivi di salute. Medici e psichiatri riconoscono la sua patologia e il decadimento delle sue condizioni fisiche, alcuni sottolineano anche i tratti “manipolativi” del suo carattere. Gli stessi giudici che le hanno concesso i domiciliari ne ribadiscono la “pericolosità sociale”, anche ricordando le sue relazioni nei “contesti eversivi” in cui maturarono le “rivelazioni” del 1993.
Ora però ha scontato più di metà della pena, con i normali benefici potrebbe uscire a fine anno: “Abbiamo chiesto l’affidamento in prova al servizio sociale, non ci hanno ancora risposto, io andrei anche a fare volontariato. Ho sbagliato e pago, non mi lamento di nulla, ma che senso ha dopo tutti questi anni?”. E Michittu? “L’ho fatto rintracciare, a breve avrò il divorzio”.