La Stampa, 26 febbraio 2018
Cinquant’anni di morti viventi. Con Romero il ’68 divenne horror
Nel febbraio 1968 un giovane regista di «shorts» pubblicitari riunisce gli amici in un bar di Pittsburgh, in Pennsylvania. La richiesta è molto semplice: «Ho bisogno di 100 mila dollari, se riesco a mettere insieme quella cifra possiamo fare un film e guadagnarci anche qualcosa. Bastano 10 mila dollari a testa, oltre all’impegno di coinvolgere i vostri parenti e amici come comparse». Gli amici vorrebbero avere qualche informazione in più, ma il giovane regista non si sbottona: «Sarà un horror, uno di quei film che si possono vendere ai drive in e che piacciono tanto alle coppiette che li frequentano per starsene rinchiusi nelle loro macchine un po’ guardando il film e un po’ baciandosi».
Detto fatto: i soldi vengono raccolti, la lavorazione inizia subito. Si girerà solo nei fine settimana: in quei giorni, infatti, le comparse non devono lavorare e possono stare sul set quanto è necessario per le riprese. Il copione intero non lo vede nessuno: il regista consegna ogni mattina le pagine con le battute e le scene che saranno realizzate in quel giorno. Niente di più.
Figlio di immigrati
Nasce così uno dei più clamorosi successi della storia del cinema. Il regista si chiama George Romero, figlio di immigrati (il padre è cubano, la madre lituana). Il film si intitola La notte dei morti viventi. Costato poco più di 100 mila dollari, incassa 15 milioni di dollari solo in America ed è venduto in tutto il mondo. Ispirerà seguiti (molti dei quali diretti dallo stesso Romero), remake ufficiali e clandestini, fumetti, serie televisive. Soprattutto, diventerà un film simbolo di quegli anni.
Ad accorgersene per prima fu Pauline Kael, la critica del New Yorker famosa per i giudizi taglienti (due anni prima aveva ribattezzato «Tutti insieme piagnucolosamente» il musical per famiglie Tutti insieme appassionatamente). Secondo Kael, nel film convergevano Martin Luther King, Sigmund Freud e la guerra in Vietnam. E questo perché il protagonista era nero (e sarà ucciso per sbaglio dai «soccorritori»); una bambina diventata morto vivente uccide i genitori e li divora in un vero e proprio pasto totemico; i metodi che l’esercito usa per debellare gli zombie sono rastrellamenti coadiuvati da elicotteri, proprio come avveniva in Indocina e con risultati ugualmente fallimentari. Romero si divertì molto per quella lettura politica: «Io volevo fare un film che incassasse, ma non potevo nascondere a me stesso e agli altri che quelle bare che ogni settimana tornavano dal Vietnam avevano profondamente segnato me e i miei coetanei. C’era una guerra che nessuno capiva, e tanta gente moriva. Non si poteva fare a meno di raccontare quello stato d’animo, qualunque storia si volesse raccontare. Anche Bonnie and Clyde era Vietnam, anche Il laureato, anche Easy Rider. Non si poteva svicolare».
Inchiodati alle poltrone
Il film non spiega perché i morti riprendano a vivere e per quale motivo si accaniscano contro i vivi. Ma per novanta minuti si rimane inchiodati alle poltrone ancora oggi. Tutto è malsano, tutto va oltre i limiti che fino a quel momento il cinema si era dato. Nella scena iniziale un ragazzo al cimitero scherza con una ragazza, terrorizzandola. Sembrano proprio una coppia di fidanzati, ma in realtà sono fratello e sorella. Poco dopo il fratello, ucciso dai morti, cercherà di uccidere proprio la sorella. E in quella stessa casa che sembra il fortino assediato di qualche western trova rifugio anche la tipica famigliola americana con padre, madre e figlia. Peccato che la figlia sia stata contaminata, le sue prime vittime saranno proprio i genitori. I vivi perdono la testa, si ammazzano tra loro, dimenticano la solidarietà. Solo Ben, il nero, sa comportarsi come gli eroi del West: ma, come si è detto, questo non gli salverà la vita.
Dario Argento vide il film, si entusiasmò, volle produrre il seguito che sarà girato dieci anni dopo con il titolo Zombi. Romero ne fu lusingato: «Dario aveva capito il valore politico del film, la sua natura sessantottina. Volle che il nuovo assalto dei morti viventi avvenisse in un centro commerciale. Il tempio del consumismo, violato da chi non può pagare, da chi non fa aumentare il Pil». Ovvero: il ’68 che sconfina anche nel cinema horror.