La Verità, 25 febbraio 2018
Ritratto di Luigi Manconi
Con i 70 anni che compie in queste ore, il senatore pd, Luigi Manconi, raggiunge l’età ideale per i bilanci. Politico di varie sinistre, libertario di tutte le libertà, editorialista dei più opposti giornali, il sociologo Manconi è un multiforme scorribandiere che sfugge a ogni definizione. È binario”, sostiene un suo amico. Un altalenante tra virtù ed errore. Il modo migliore per parlarne è farlo con ordine alla maniera dei giornalisti: prima l’oggi, poi il Luigi che fu.
Il senatore non sarà in lista per il 4 marzo e darà l’addio a palazzo Madama. Ci era entrato nel 2013 dopo un’assenza di 12 anni. Era infatti già stato senatore -allora tra i Verdi- per 2 legislature dal 1994 al 2001, prima di raggiungere lo zenit: sottosegretario alla Giustizia, nel governo Prodi II (2006-2008). È ovviamente rimasto male per l’espunzione renziana ma ha taciuto, rimuginando sull’ingratitudine politica. Nei mesi precedenti, proprio in vista del voto, aveva puntigliosamente sciorinato la gamma delle proprie convinzioni profonde. Come dire: se mi volete, ecco chi sono; se no, sappiate chi perdete.
È stato lui nell’ottobre 2017, a dare il via allo sciopero della fame per lo jus soli, trascinandosi dietro il ministro Graziano Del Rio, alcuni sottosegretari e i numerosi immigrazionisti della sinistra. Col gesto, Manconi ha voluto mostrare la propria anima libertaria che, oltre all’accoglienza, include la licenza di spinello, diritti gay, testamento biologico e altri strappi al perbenismo. In dicembre, ha fatto invece valere il lato garantista battendosi per la scarcerazione di Marcello Dell’Utri che ha un tumore. “Non chiedo la grazia -ha detto- ma il rispetto della legge. Liberare un malato, è dovere”. Non vi sfuggirà che mentre la battaglia sullo jus soli è stata ben vista dai buonisti del Pd, quella su Dell’Utri ha suscitato paturnie perché la bontà piddina si ferma davanti agli amici del Berlusca. Manconi però è andato per la sua strada, scartando calcoli meschini.
Si capisce che un liberal siffatto sia conteso dai giornali di ogni orientamento. Da un trentennio, Luigi spunta sulle più impensate testate con la capricciosità di un fungo di bosco. Dal Corsera alla Stampa, dall’Unità al Giornale, dal Foglio a Repubblica. Uomo di garbo, aggiusta il tiro a seconda di dove scrive per accattivare il caleidoscopio dei suoi lettori.
Ora, i compagni gli hanno presentato il conto. Luigi però è troppo popolare. Negli anni ha condotto battaglie di verità, come usa dire, sulle morti sospette di Giulio Regeni, Stefano Cucchi, altri. Ha numerosi fan che avevano firmato per la sua ricandidatura: dai genitori di Regeni, a Ermanno Olmi, Dacia Maraini, Agnese Moro. Ora sono delusi e potrebbero vendicarsi nell’urna. Tanto che Paolo Gentiloni è corso ai ripari rimediando in extremis uno sgabello per Manconi: coordinatore dell’Ufficio Anti Discriminazioni. L’Unar è un organismo controllato da Palazzo Chigi, incorso nel 2017 in uno scandalo. Finanziava, infatti, una onlus omosessuale che si dava a orge allegre. Perciò la nomina di Luigi in un posto delicato e un po’ dubbio ha indispettito i cattolici tradizionalisti. Si chiedono, cos’altro potrà combinare un iperaperturista come Manconi in un ente che ha già fama di essere spintamente pro gay. Si vedrà.
Mi sembra che la fisionomia del Nostro cominci ad emergere. Un battitore semi libero a cui il Pd, erede del Pci, va stretto. Ma non sa distaccarsene perché lo rassicura. Ciò gli deriva, come ora vedremo, dai suoi trascorsi.
Nato a Sassari da studiosa famiglia, Luigi crebbe in ambiente pio. Il babbo, Giangiacomo, era un dirigente dell’Azione cattolica. Già al liceo però, Manconi jr è animatore dei cattolici del dissenso, ossia rompiscatole. È la vigilia del Sessantotto. Come di rito, lasciò Sassari per frequentare Scienze politiche all’Università Cattolica di Milano. Qui, incontrò l’umbro Mario Capanna, di qualche anno maggiore e già sulla strada del fuori corso, caporione del movimento studentesco. Insieme, si fecero cacciare dall’ateneo dopo avere interrotto una lezione di Gianfranco Miglio, futuro ideologo di Umberto Bossi. Finirono così tutti alla Statale, una pacchia all’epoca per dare sfogo agli ormoni. Costì, Luigi si intruppò con Lotta continua, buttandosi a corpo morto nella militanza. Quella che pareva un’imprudenza per il futuro di un ragazzo borghese, si rivelò una manna. Lc, infatti, è stato il più efficiente ufficio di collocamento della futura classe dirigente di quella generazione che, negli anni successivi, occupò direzioni, board e baronie. Anche il nostro Luigi, nei lustri che verranno, volteggerà tra cattedre e facoltà di sociologia prima dell’ultimo approdo alla libera università Iulm.
Torniamo a Lc. Nel branco, Manconi si segnalò dapprima per la finezza letteraria. Compose, infatti, le parole dell’inno del gruppo. Primo verso: “Siamo operai, compagni, braccianti e gente del quartiere”. Secondo: “Siamo studenti, pastori sardi, divisi fino a ieri”. La strofa piacque, tanto che Adriano Sofri, il leader, lo elevò alle massime gerarchie, affidandogli il servizio d’ordine. Suo compito era, negli scontri di piazza milanesi, scompigliare i cordoni della polizia. Luigi aveva 2.000 giovinetti ai suoi comandi. Divise i cherubini in centurie e, con corse e improvvisi dietro front, mise ko i militari in una famosa spedizione a Torino contro la sede del Msi che fu incendiata. Per conto dei fascisti annichiliti, reagirono i carabba sparando ad altezza d’uomo. Due incoscienti che avevano affrontato le pallottole di petto furono feriti di brutto. Luigi, che aveva invece iniziato la fuga, fu beccato a un gluteo. La parte è, purtroppo, ingloriosa e non ne ha mai menato vanto. Neppure volle farsi ricoverare e ripartì fortunosamente per Milano trovando rifugio e cure in viale XXII marzo, presso amici.
In quegli anni avventurosi, in cui portava dei guerreschi baffoni, sposò Lucetta e ne ebbe 2 figli. Il matrimonio durò poco, lasciando il posto nel 1974 a un incendiario amore con una giovanissima Lucia Annunziata, la futura anchorwomen, gruppettara pure lei e già infelicemente sposata. Lucia cadde nella tela manconiana come una pera cotta. Rinsavita dirà: “Furono anni di gioia, botte e tradimenti”. Oggi, ma già da decenni, Luigi è sposato con Bianca Berlinguer, primogenita di Enrico, capo del Pci tra i ’70 e gli ’80. Insieme, hanno avuto una figlia che oggi ha 19 anni.
Dal mondo violento di Lc, Luigi prese le distanze col sorgere del terrorismo. Ne ebbe orrore e divenne il pacio-garantista che sappiamo. Altri uscirono con lui da Lc attirati dal Psi di Bettino Craxi e, più tardi, da Silvio Berlusconi. Manconi, no. È restato a sinistra, saltellando tra comunisti, verdi, radicali, piddini. Neanche si trova bene, come sappiamo. Ma è un abitudinario. A volte, per fare digerire ai compagni le proprie anomalie ha dei disgustosi rigurgiti di sinistrismo. Mentre Craxi si spegneva indomabile in Tunisia, disse: “La malattia completa l’immagine sgradevole di un uomo che, in una torva solitudine, cova i suoi rancori. Quell’aggressività così affannosa rivela qualcosa di intimamente sporco”.
Oggi, Manconi è quasi cieco. Non può leggere, né scrivere. Chissà se nella sua triste infermità, ripensa a quell’altro infermo insultato sull’orlo della tomba.