La Stampa, 25 febbraio 2018
L’uomo che alleva rapaci
Dalla parte dei gufi. «Quando sento parlare di gufi come dei portatori di iella mi viene un nervoso folle! Prima di tutto in alcune società, a differenza che da noi, non sono associati a qualcosa di negativo. Anzi. Sono simbolo di gran saggezza. Così la civetta – altro rapace notturno, specie strigiformi – nella mitologia greca rappresentava Atena, la dea della sapienza. Quindi basta sparlare di gufi e gufate come insiste a fare per esempio Matteo Renzi. Ho pensato anche di scrivergli per invitarlo a studiare e conoscere questi meravigliosi animali: se lo facesse smetterebbe di usare certe espressioni». Alt, dottor Albertini. Vista l’aria che tira cosa mi dice invece dei corvi? «Secondo me i corvidi hanno un passo in più; arrivano quasi allo stesso livello d’intelligenza dei pappagalli. Basti pensare che non solo come gli altri uccelli nascondono tra i rami le loro prede ma, poi, staccano anche delle foglie per ricoprirle ulteriormente. Sono molto furbi, raffinati e intelligenti».
A parlare è Enrico Albertini, 62 anni, fondatore e direttore del Centro di Monticello che ha sede nella sua proprietà di campagna (villa, cascina e 5 ettari in provincia di Lecco) ed è specializzato nell’allevamento, riproduzione e studio della eco-etologia di uccelli minacciati d’estinzione. Fuori dalla finestra del suo studio alcune taccole (il corvide reso celebre dalle osservazioni del celebre etologo Konrad Lorenz) stanno nidificando dentro a cassette. Dice Albertini: «Non siamo un centro di recupero però mi hanno portato delle taccole ferite. Le ho curate e lasciate libere sono rimaste in zona».
Ai lati di un pratone vive una coppia di splendide Gru della Manciuria, tra le più grandi al mondo; nel lago artificiale nuotano oche, cigni e rarissime anatre marine nordiche dai piumaggi d’infiniti mix e colori. Il piccolo paradiso naturale creato da Albertini con larghi recinti e 40 enormi voliere («Mai chiamato un muratore, ho fatto tutto da solo aiutato anche per la cura quotidiana da alcuni amici come quelli del Museo Civico di Lentate sul Seveso») ospita oltre 60 diverse specie: dalla maestosa Aquila di Mare di Steller (una coppia gli è stata affidata dal Moscow Zoo Park) al gipeto che è un po’ aquila e un po’ avvoltoio, all’anatra australiana Pink-eared Duck, da una piuma rosa e un buffo becco molle.
Ma, in particolare, Enrico Albertini è il solo in Italia e uno dei pochi al mondo ad avere 34 specie di rapaci notturni – gufi, barbagianni, allocchi, civette – che sono la sua vera, grande passione. Dall’enorme Gufo Reale Siberiano alle le scatenate civette nane al rarissimo Gufo Pescatore di Pel tanto che Monticello è l’unico luogo dove si è riprodotto in cattività e per ritrarlo è arrivato anche il fotografo Joel Sartore del National Geographic. Figlio minore di Gianni Albertini, l’ingegnere-alpinista che partecipò e guidò due spedizioni al Polo Nord alla ricerca dei superstiti del dirigibile Italia di Umberto Nobile, Enrico narra di essere stato affascinato dai rapaci fin da piccolo. «Il primo animale? Un barbagianni. Da allora ho cominciato a studiare e, poco a poco, ho fatto esperienza. Infine, è diventato il mio secondo lavoro (il primo è immobiliarista). Il mio Centro è privato, non ha scopi di lucro e non sono un collezionista: gli animali non sono francobolli! A differenza di chi fa affari sulla pelle degli animali ho rapporti con una splendida rete di soggetti istituzionali e privati in cui vige la regola dello scambio per formare coppie non consanguinee e garantire quindi con la riproduzione la biodiversità».
Il centro chiuso al pubblico (eccezione: visite scolastiche programmate) ha un comitato scientifico di tre membri: Gustavo Gandini, prof di Genetica e Biodiversità all’Università degli Studi di Milano e gli etologi austriaci Wolfgang Scherzinger e Hans Frey che coordina il programma di reintroduzione del Gipeto. Spiega Albertini: «I gipeti furono sterminati a inizio ‘900 perché considerati nocivi. Si diceva persino che rapissero in montagna i bambini. Grazie al professor Hans Frey – lui è il nostro faro – oggi sulle Alpi abbiamo già 120 coppie di gipeti. Tutto il resto è superstizione».