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 2018  febbraio 23 Venerdì calendario

In Slovacchia, dove Embraco paga gli operai 500 euro al mese

«Lo dicono anche a noi. Se i salari salgono troppo saranno costretti a trasferirsi, a delocalizzare. Magari in Bangladesh». C’è un Est per tutti e Josef Balica, presidente dell’unico sindacato presente all’Embraco, lo sa. Negli ultimi diciotto anni, assieme agli altri delegati di Kovo, ha visto crescere la produzione grazie alle commesse che, dall’Italia, finivano qui. Ma adesso è tutto fermo da almeno 24 mesi, gli impianti saturi. «E nessuno ci ha mai detto che, dopo la chiusura di Riva di Chieri, in Slovacchia sarebbero arrivate nuove assunzioni», spiega. 

Pochi mesi fa l’azienda ha aperto un centro di sviluppo a Kosice, un centinaio di chilometri dalla fabbrica, però è qualcosa di diverso. È per colletti bianchi, per gente che sa gestire le finanze e mandare avanti le pratiche sulle risorse umane. A Spisska Nova Ves, invece, Embraco significa ancora sveglie all’alba e turni fino a notte. «È un lavoro di fatica, e i colleghi degli altri stati hanno stipendi più alti» dice amaro Michael, che ha 23 anni e un contratto a tempo da 500 euro al mese, appena sopra il minimo salariale. Entra all’una e mezzo assieme a quelli del secondo turno, il «pile» scuro, pronto a infilarsi tra i reparti in cui l’aria condizionata resta accesa tutto l’anno, perché le macchine devono essere costruite in un ambiente senza umidità. È uno dei pochissimi a parlare inglese, al pari di Ian, che ha un anno in meno di lui. «Facciamo 8 ore, per il momento l’occupazione non manca» spiega, ma le alternative sono pochissime. «Qui Embraco è la compagnia più grossa, non c’è mai stata competizione». Ian, non ha paura che un giorno possa succederle quello che è capitato ai suoi colleghi italiani? «No, per il momento no. E se capitasse me ne andrei da qui, ho solo ventidue anni».
Forse per lui è più semplice. Balica e i suoi, invece, si muovono sulle uova. «Il dialogo con l’azienda è buono, l’anno scorso siamo riusciti ad avere un aumento di 70 euro e a sindacare la tredicesima e la quattordicesima. Gli scioperi? Cerchiamo di farne a meno, quella è l’ultima possibilità». Ecco, per lui, il fatto che Embraco possa spostare parte della produzione anche da qui, magari per andare a potenziare gli impianti già attivi in Cina o in Messico, è un incubo da scacciare: «Capisco che ci sia questa possibilità, con quello che è successo in Italia». Per questa regione, una sorta di piccola capitale industriale della «Slovacchia felix» che ha accolto a braccia aperte chi ha deciso di puntare su salari bassi e incentivi statali, l’Embraco è stata una benedizione. «In ogni famiglia c’è qualcuno che ci lavora» dice Joseph, seduto in un bar del centro, mentre la tv trasmette la partita di hockey tra Canada e Stati Uniti. Ti racconta che dopo i brasiliani è arrivato l’indotto, e i campi attorno alla ferrovie si sono riempiti di capannoni e palazzi. Tutti uguali, tutti colorati, ordinatissimi. Senz’anima.
Giù oltre la statale, da un po’, c’è anche un’azienda italiana, la Sitem. E poi piccole imprese che crescono, realtà da 100 dipendenti che hanno reso meno doloroso l’addio di Panasonic, la seconda impresa della zona che nel 2014 ha chiuso e lasciato a casa i 2100 dipendenti. Il governo ci ha messo del suo, chi investe qui ha agevolazioni fiscali per i primi cinque anni, i costi del lavoro così bassi hanno fatto il resto. E infatti alle 11 del mattino il grande centro di collocamento davanti alla stazione è vuoto, la signora all’ingresso non parla, così non come parlano gli addetti, «l’unica titolata a farlo è Bratislava». E allora per capire qual è il segreto slovacco bisogna scorrere gli annunci sulla bacheca, tanti, colorati: 4 euro netti all’ora per guidare il muletto alla Vzv di Vodic, tra i 550 e i 750 euro al mese per un posto alla catena di montaggio in una fabbrica che costruisce tv Lcd a Galanta. Su questi numeri i governi occidentali hanno battuto i pugni in Europa, ma qui si viaggia comunque sopra il minimo salariale.
Balica, ma non è concorrenza sleale? «Noi lavoriamo perché gli stipendi aumentino. E ci piacerebbe che le imprese restassero in Slovacchia per la qualità della nostra manodopera, mica per i costi così bassi».