La Stampa, 23 febbraio 2018
Gibuti, l’ombra della Cina sulle elezioni
Perché il Gibuti, al voto oggi, è così importante per gli equilibri di tutto il Corno d’Africa?
Non solo business e soldati. Il minuscolo Stato africano di Gibuti è sempre più ispirato alla Cina di Xi Jinping. Il risultato delle elezioni legislative di oggi appare scontato: ancora una volta a vincere sarà l’Unione per la maggioranza presidenziale (Ump), il partito unico del presidente Ismaël Omar Guelleh che dal 1999 occupa tutti i 65 seggi dell’Assemblea Nazionale (nel 2013 l’opposizione ne conquistò dieci, ma dopo le accuse di brogli rifiutò di sedere in Parlamento). L’Unione africana ha inviato gli osservatori, ma anche questa volta l’Ump correrà da solo: per protesta il principale partito di opposizione, Djiboutian MoDeL (Movimento per lo sviluppo e la libertà), ha invitato a boicottare le urne. Lo stesso era avvenuto alle presidenziali del 2016 e alle elezioni comunali del 2017.
Il «vecchio leone», come viene chiamato Guelleh, è succeduto allo zio nel 1999 e da allora, grazie al sostegno della Francia, è padrone assoluto del Paese. Da qualche anno però gli equilibri nel Corno d’Africa sono cambiati. Il Gibuti, scelto dagli Usa come luogo ideale per allestire la prima base anti-terrorismo in Africa (usata anche dagli italiani) dopo l’attacco alle Torri Gemelle ed ex colonia francese, oggi guarda a Oriente. A settembre, in occasione dell’inaugurazione della mega base militare cinese, Guelleh ha promosso Pechino come primo partner, creando non pochi malumori negli ambienti diplomatici d’Occidente. «La Cina – ha detto – è l’unica nazione a investire da noi in tutti i campi». La base militare – in grado di ospitare oltre 5 mila uomini – è infatti l’ultimo tassello di una strategia più ampia. Gli yuan di Xi hanno già finanziato il porto di Doraleh, costato 590 milioni di dollari. L’altra infrastruttura made in China è la ferrovia Gibuti- Addis Abeba, 750 km di binari che permettono a Pechino di commerciare le sue merci in tutta la regione. Chang Wanquan, ministro della Difesa cinese, ha spiegato che porto e base militare serviranno a mantenere la pace nel Corno d’Africa, con l’Etiopia in Stato d’emergenza perenne e la Somalia piegata da Al Shabaab. Tuttavia, dallo stretto di Bab el Mandeb si controllano i traffici marittimi tra Mar Rosso e Golfo di Aden. Per gli analisti il Gibuti – con Sri Lanka, Kashmir e gli atolli nel Mar cinese meridionale – non è altro che l’ennesimo avamposto dell’espansionismo cinese. E il voto di oggi non farà che consolidare i rapporti tra Guelleh e Xi Jinping.