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 2018  febbraio 23 Venerdì calendario

Padova, i fedeli sfiduciati in fila per Sant’Antonio: «Preghiamo che ci levi dai piedi i politici»

Non ci saremo dimenticati qualcuno? In questa campagna elettorale, fateci caso, si parla pochissimo dei cattolici. Sarà che l’unanimismo dei tempi della Dc è un ricordo, e da un pezzo, sarà che la Cei è insolitamente silente, la categoria quasi non compare nei proclami e nei calcoli pre elettorali. E allora vale forse la pena di fare un salto in uno dei luoghi simbolo del cattolicesimo più popolare e tradizionale: a Padova, la basilica di Sant’Antonio. Anzi, «il Santo»: inutile perfino specificare quale, basta la parola.

E qui viene subito fuori un’Italia che i giornali non raccontano mai, quella di una devozione forse semplice ma ancora radicatissima. Infatti in un sabato pomeriggio mediamente uggioso la chiesa, che pure è grande, è pienissima, la messa affollata. Si fa la fila per toccare la tomba con il corpo del Santo, si fa la fila per guardare (e non toccare: è dietro un vetro) la sua reliquia più venerata, quella della lingua. In effetti, a differenza della stragrande maggioranza dei candidati a queste politiche, Antonio era di un’eloquenza prodigiosa, e sulla consecutio si destreggiava sicuramente meglio di Di Maio. Quanto ai frati, il miscuglio di tradizione e modernità è, anche questo, miracoloso. Le messe si ordinano al bancone, una mano porge l’offerta e l’altra riceve un santino neorealista e la ricevuta dei 10 euro. Ma le funzioni, informa il sito, sono anche trasmesse in streaming.
Tra religione e affari
Insomma, sant’Antonio piace sempre moltissimo, e la miscela di fede, turismo, devozione e business pare ancora inossidabile. Lo spiega già il tassista (dalla stazione alla Basilica, 7 euro e 50, prezzo fisso, come per gli aeroporti): «Qui a Padova abbiamo tre grandi industrie: la Safilo, l’Università e Sant’Antonio». Però siamo qui per parlare di politica. Iniziando magari proprio dai padroni di casa, che sono i frati minori conventuali, insomma i francescani, non a caso l’ordine più popolare.
Padre Mario Conti è accanto a una bancarella fuori dall’ingresso, e poco male se pioviggina perché porta sul saio un cappellino con visiera, magari non troppo regolamentare ma comodo. E qui si capisce subito che il voto cattolico non esiste più, esiste il voto dei cattolici, divisi e incerti come il resto della Nazione. «Se i pellegrini ci chiedono per chi votare? No, figuriamoci. Anche perché non sapremmo cosa rispondere. Nel convento siamo una cinquantina e ne discutiamo spesso in refettorio, anche se poi alla fine ognuno resta della sua opinione. Una linea ufficiale non c’è. Parlando con la gente si avverte, più che l’urgenza di scegliere uno schieramento, quella di una politica che si occupi di cose concrete. Lo vediamo quando i fedeli ci confidano le loro preoccupazioni, il lavoro che non c’è, le famiglie che si disgregano, l’incertezza del futuro».
Di fronte allo spettacolo della vita pubblica italiana, vacilla anche la carità cristiana: «Noi preghiamo sant’Antonio che ci tolga i politici dai piedi. O almeno che ci faccia comandare dall’Europa, ma davvero: sono senz’altro più seri loro che i nostri». Parola di Renzo e Marisa, marito e moglie, pensionato lui e impiegata lei, di Castelfranco Veneto. Cattolicissimi: messa tutte le sere, adorazione, vespri, «dico due rosari al giorno» (lui) e «deve assolutamente andare a Medjugorje, le cambierebbe la vita» (lei), e pazienza se la Chiesa è scettica. Ma sul comportamento da tenere davanti alle urne, e non quelle delle reliquie, regna ancora una volta l’incertezza.
«Alle ultime tre elezioni non sono nemmeno andato a votare – racconta Renzo -. Questa volta invece lo farò. Sono indeciso fra il Movimento 5 stelle e il Popolo della famiglia». E poi confessa che sì, un po’ di nostalgia per la Dc c’è, se non altro perché per la maggioranza dei cattolici scegliere era molto più facile: «Forse si stava meglio quando si stava peggio».
L’impressione è che, più che i diritti civili o le questioni morali, dalla politica ci si aspettino risultati su stipendi, pensioni, welfare. «Sono talmente giù di morale», e non per le unioni civili o l’aborto, ma perché «sono sommersa di tasse», dice Marianna, di Novara, origini romene ma in Italia da una vita, a Padova non solo per il Santo («Sono credente ma non troppo praticante, però anche il lavoro è preghiera») ma soprattutto perché un figlio abita qui, poi c’è una figlia in Irlanda, due in Spagna e uno a Novara, almeno lui. «Di certo farò il mio dovere e andrò a votare. Per chi, però, non lo so ancora. Al lavoro ne parliamo moltissimo, ma vedo molta incertezza. Si sceglierà, al solito, secondo coscienza. Ma non credo che oggi in Italia la fede religiosa sia determinante».
Riassume tutto una professoressa di latino in pensione, 67 anni, il nome non lo dice, battezziamola Maria, molto più a posto, quanto a chiarezza di sintassi e di pensiero, della maggior parte degli ospiti dei talk politici. Origini calabresi, Maria vive a Padova dal 2003 e ogni tanto viene a trovare il Santo, ma senza eccessi devozionali «sono cattolica ma non fanatica. Mi ha sempre colpito vedere questo fervore, è un fenomeno interclassista e talvolta anche interreligioso: lì dentro (e indica la facciata della basilica, ndr) ho visto anche dei musulmani». Lei almeno, ha scelto per chi votare, anche se la prende larga: «Io spero nell’unità degli italiani intorno alla nostra civiltà greco-latina, cristiana ed europea». Quindi? «Quindi ho deciso di votare per il centro-destra». Berlusconi, insomma: «Non esageriamo, proprio lui magari no. Di certo, una preghiera per la nostra Italia la dirò». E che sant’Antonio ci dia una mano, almeno lui.