il Fatto Quotidiano, 23 febbraio 2018
«Così è cominciata l’Italia, da un errore»
C’era una volta Vigata. Ed ecco La Mossa del Cavallo. La Rai presenta lo smagliante ultimo suo prodotto – nientemeno che un film in costume tratto da un romanzo storico, un vero lusso – e il racconto di Andrea Camilleri torna indietro nel tempo, nella Montelusa del 1877, con la storia di Giovanni Bovara, ispettore capo dei mulini – siciliano di nascita, ma cresciuto in Continente – deciso a far rispettare l’obbligo, fosse pure l’odiosa tassa sul macinato.
C’era una volta quello che c’è sempre, ovvero qualcosa di grande e pericoloso, un sistema di avidità e crimine. Ed è una scacchiera perfino intraducibile con la lingua della Legge. E c’era dunque a Vigata – e ancora adesso c’è – l’errore che ha generato l’Unità d’Italia.
La voce di Camilleri domina come ex cathedra e denuda l’errore: “Il colonnello dei Carabinieri che di nome fa Carlo Alberto Dalla Chiesa – il nonno del generale omonimo ucciso a Palermo dalla Mafia – giunto in Sicilia incita gli uomini al suo seguito a fare fuoco”.
Quella voce, dà voce a una ferita mai sanata. È il colonnello che parla: “Non abbiate timore a sparare ai contadini, in quei campi troverete più fucili che pane”.
C’era una volta Vigata e c’era l’esercito fucilatore. E adesso c’è la “P di politica che è diventata minuscola”. No però, non di politica vuole parlare Camilleri, ma di storia se alla folla che lo applaude a viale Mazzini – nell’atrio della sede Rai – per la conferenza stampa di presentazione del film La Mossa del Cavallo (regia di Gianluca Maria Tavarelli) racconta il fatto per come fu: “Su cinquecentomila aventi diritto al voto, solo settanta, in Sicilia, dissero no a Roma ma l’Italia, pur beneficiata da tanto consenso, ricambiò quell’entusiasmo con l’esercito fucilatore”.
Ci vuole il romanzo per far conoscere la storia: “I siciliani ebbero a vivere il servizio di leva come un lutto provvisorio; i parenti dei soldati, infatti, vestivano il lutto stretto fino al completamento degli obblighi militari”.
L’Italia si doveva pur fare e Camilleri, potente nella sua presenza, affabula in realismo e dice: “Ragazzi del Piemonte, della Liguria, della Sicilia, della Puglia e del Veneto, messi l’uno accanto all’altro, cominciavano a parlare una stessa lingua”. Dopo di che, zolfo di viva intelligenza, cauterizza con l’ironia: “Così è cominciata l’Italia, da un errore”.
Ecco la Mossa, ed ecco un Camilleri in una nuova prova tivù confezionata con tutti i crismi delle arti. Ci sono, infatti, con la letteratura del suo Autore, la maestria del grande teatro in ogni singolo attore, la ricostruzione impeccabile di scenografia e costumi, la cifra del miglior cinema, il contenuto storico e la regia originale di Tavarelli in così grande spolvero da far sembrare la tivù troppo poca cosa. A benedire il tutto, la bedda Sicilia, ancora una volta gli scorci incantevoli di Scicli, Ibla, Modica e Ispica (e il mare di Donnalucata, va da sé).
Nel ruolo di protagonista c’è Michele Riondino. Attore eccellente, già interprete del Commissario Montalbano da “giovane” – dove è perfino superiore a Luca Zingaretti – in questo film dalla scrittura limpida, Riondino si concede un virtuosismo di sdoppiamento: parla con l’inflessione ligure per poi decidersi, nello scacco, a ragionare in vigatese, una sorta di scavo nella lingua madre con cui apparecchiare il colpo di scena.
Bedda, degna dell’archetipo della Lupa, è Ester Pantano nel ruolo della femmina che porta alla dannazione pure il padre parroco. La scena più erotica si consuma quando lei ordina a un garzone di preparare il letto all’ispettore dei mulini cui ha affittato la casa. Fulmina con un’occhiata il ragazzo e gli intima: “…mi raccomando le lenzuola, tese!”.
Inesorabile, ma nella disinvoltura di una saggezza bieca, è la ferina natura di quella Vigata. Una brocca sta appoggiata alla bocca di un pozzo. Un tiratore accecato di rabbia spara, tira, tira e spara senza mai beccare il bersaglio. Un vecchio caracollante gli strappa il revolver dalla mano, lo impugna, spara e mette a segno sulla brocca: “Non si spara con il cuore, si spara con la testa!”.
Prodotto dalla Palomar di Carlo Degli Esposti e da RaiFiction, scritto da Camilleri con Leonardo Marini, Valentina Alferj e Francesco Bruni, il film prelude – lo ha detto Tinny Andreatta, direttrice di RaiFiction – “a una collezione che pensiamo possa nascere su questa radice”.
Disegnato come a godere dei Tre Moschettieri, a volte come un western, a tratti come commedia e Opera dei Pupi (magnifico il delegato di polizia, tanto è fetente come un Gano di Magonza, e così Filippo Luna, l’avvocato Fasulo), il film prenderà, con il largo pubblico televisivo, anche i palati più esigenti perché quell’alchimia dell’intrattenimento popolare di cui teorizzò Umberto Eco, qui si conferma con un Camilleri definitivamente letterario. Questa volta, infatti, non c’è il genere poliziesco. Adesso torna in campo il grande romanzo. E la sequenza perfetta, coerente in nitore di parola e ragionamento, è solo una. Ed è tutto quello che deriva da Vigata: Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri.