il Fatto Quotidiano, 23 febbraio 2018
Lazio, Zingaretti rischia la vittoria monca
E poi ci sarebbe il Lazio. Ovvero quelle Regionali di cui non si parla, ma che pesano parecchio. Una corsa con lui, lei e l’altro. E lui è il governatore uscente Nicola Zingaretti, dem che assieme al bis insegue anche un ruolo di peso a livello nazionale, magari perfino da segretario di un nuovo Pd se Renzi crollasse nelle urne. Ma prima deve schivare un bel rischio, quello della vittoria monca. Mentre lei è la 5Stelle Roberta Lombardi, che è in campagna elettorale da sei mesi, morde senza sosta, ma corre sola, senza il Luigi Di Maio con cui non è mai stato amore. E allora per cercare voti a destra si aggrappa pure a post un po’ così.
Quindi c’è l’altro, Stefano Parisi, abbastanza a sorpresa in partita stando ai sondaggi che si soffiano da un comitato all’altro: anche se l’hanno paracadutato all’ultimo minuto. Però pure lui ha la sua bella croce, e si chiama Sergio Pirozzi. Ossia il sindaco di Amatrice, vicino a Fratelli d’Italia, in lizza con la sua lista civica. Sperava di prendersi di forza il sostegno di tutto il centrodestra, e invece è rimasto solo: ma può comunque togliere punti decisivi a Parisi. E infatti Berlusconi due giorni fa è esploso: “Abbiamo difficoltà perché uno di noi, un sindaco si è candidato anche lui e ci porta via il 6-7 per cento.
Ora cercheremo di convincerlo, con le migliori misure. Ai calci in culo ricorreremo poi”. E Pirozzi non ha gradito: “Il mio culo è di pietra”. Passati i bollori, ieri il sindaco gli ha recapitato una lettera pubblica tramite affaritaliani.it: “Caro Silvio, non posso farmi da parte”. Ma è noto che in politica il nemico di oggi può essere l’amico di domani. Anche nel Lazio, dove per avere una maggioranza solida il vincitore dovrà mettere assieme tra il 36 e il 38 per cento. Perché al primo andranno dieci consiglieri in più, ma gli altri seggi se li dovranno prendere i partiti che lo sostengono. E non è detto che i conti tornino.
Così si spiegano i segnali di Berlusconi. O l’atteggiamento di Zingaretti, che Pirozzi non lo attacca mai e valuta di arruolarlo. Più o meno come Lombardi, che ha incontrato il sindaco e non esclude di farlo assessore. Perché tutti e tre sanno che i suoi voti potrebbero tornare più che utili dopo il 4 marzo. Nell’attesa Zingaretti pare ancora davanti, forte dell’appoggio di Leu che lo vorrebbe come segretario dem per un nuovo centrosinistra. E cerca di raggranellare voti con una campagna da candidato civico, tenendosi lontano dal Pd. Ma se vince con i partiti dovrà trattare, perché i dieci posti in più per il candidato vincente verranno ripartiti tra loro, e tanti saluti al vecchio listino. Mentre dal Pd notano come Andrea Orlando, il suo leader di riferimento, non abbia candidato nomi del governatore in Parlamento. Forse per non rafforzarlo. Lombardi invece va in solitaria. Di Maio è stato l’ospite d’onore nella presentazione dei candidati a Roma. Poi si è eclissato. E la Sicilia, dove fece tre mesi di campagna, è un lontano ricordo.
Nelle ultime ore la 5Stelle ha dovuto incassare pure la sfiducia alla presidente del III Municipio a Roma, il suo fortino. In questo scenario, ecco il post di ieri in cui Lombardi auspica: “Quando penso alle province del Lazio e ai suoi borghi penso ad accogliere più turismo e meno ai migranti, che pesano sull’economia locale”. Righe che hanno accesso il fuoco di fila da sinistra. Lei risponde con la scimitarra: “Chi parla di virata a destra è ridicolo, c’è chi preferisce guardare i numeri e parlare di realtà”. Però l’idea rimane saccheggiare voti al Pirozzi che precipita nei sondaggi. Lo stesso obiettivo di Parisi, che ha recuperato punti ma resta un alieno, alle prese con un centrodestra che nel Lazio è diviso in tribù. Chissà se basterà a Zingaretti, che si gioca il futuro: e non è solo questione di Lazio.