Il Sole 24 Ore, 23 febbraio 2018
Nei centri storici più bar e ambulanti
Dopo 10 anni di smottamenti la desertificazione del commercio nelle città – quasi 63mila negozi in meno dal 2008 a oggi – sta rallentando. Ma la mappa che emerge oggi dai centri storici è radicalmente mutata rispetto a un decennio fa: sempre più bar, ristoranti e street food e negozi di telefonia e sempre meno librerie, giocattolai e negozi di abbigliamento (spesso dirottati in centri commerciali). Con i nuovi commercianti che parlano sempre di più un’altra lingua (le imprese straniere sono salite dal 10,7% al 13,6%), mentre sui marciapiedi a fianco a molte saracinesche abbassate esplode la presenza dei venditori ambulanti, specialmente al Sud dove la loro moltiplicazione è avvenuta in modo tutt’altro che ordinato.
A raccontare come è cambiato il commercio in due lustri – un’era geologica per queste imprese coincisa con la crisi e l’avvento delle vendite online – è la nuova indagine dell’ufficio studi di Confcommercio realizzata su ben 120 città. Dove a fronte della scomparsa di 62mila negozi (-10,9% che diventa -11,9% nei centri storici) sono apparsi 39mila bar, hotel e ristoranti in più (+13,1% e 17% fuori dal centro), con una grande crescita delle imprese registrate da titolari stranieri (+26,2%) a fronte di un calo del 3,6% di quelle degli italiani.
Dal 2015 a oggi, comunque, in concomitanza con l’avvio dell’uscita dalla crisi, l’emorragia di imprese nel commercio si è sostanzialmente arrestata. La ricerca, che non ha preso in esame Roma, Milano e Napoli, perché considerate città policentriche, evidenzia che il calo dei negozi nelle periferie è più contenuto (-10,3%). A pesare sui centri storici, oltre al ciclo economico e alle variabili socioeconomiche e demografiche (c’è un esodo di giovani e restano a viverci sempre più anziani), ci sono anche i canoni di locazione, che calano di più in periferia
Guardando alla ripartizione territoriale emerge che al Sud c’è un vero e proprio boom del commercio ambulante (+26%). Un’anomalia, questa, non governata secondo Confcommercio: basti pensare che a Palermo le bancarelle sono quasi triplicate. Al Nord invece la «supplenza» dell’ambulantato appare di più come un «processo ordinato». Nella mappa sulla vitalità o il declino del commercio è particolarmente difficile la situazione incittà come Genova, Venezia, Reggio Calabria, Messina, Bari e Cagliari, mentre maggiore equilibrio tra tutte le vocazioni commerciale si registra nell’alta Lombardia, attorno a Firenze, a Trento, Siracusa e Matera.
«Il degrado urbano e l’esodo dei residenti stanno impoverendo le nostre città che, ora più che mai, devono essere rilanciate», avverte il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli. Che invoca «città più belle e attrattive» perché danno «sicurezza e fiducia». Da qui la proposta di incentivi di carattere fiscale, per difendere il commercio sano. Sangalli suggerisce due leve: cedolare secca sulle locazioni commerciali e una «local tax» che comprenda Imu, Tasi e Tari che sia totalmente deducibile.