Libero, 22 febbraio 2018
Jean-Marie Le Pen: «De Gaulle un pirla, meglio Pétain Mia figlia Marine? Mi fa pietà...»
PARIGI È il documento più atteso di questo inizio 2018, anche dai suoi avversari politici, da coloro che l’hanno sempre considerato come il diavolo in persona. Il prossimo 1 ̊ marzo esce il primo tomo del testamento di JeanMarie Le Pen, il fondatore del Front national, e ieri il quotidiano Le Parisien ha pubblicato in esclusiva i primi estratti di questo mastodontico album di ricordi. Si chiama Mémoires. Fils de la nation (edizioni Muller), ed è un lungo viaggio a ritroso nella storia della Francia e della destra francese, attraverso le avventure di una delle sue figure più emblematiche.
“Menhir”, prossimo ai 90 anni, riavvolge il nastro dei souvenirs, e partendo dalla sua nascita, il 20 giugno 1928 a La Trinité-sur-Mer, giunge fino al 1972, anno di fondazione della sua creatura politica. Il padre di Marine Le Pen ci offre la sua visione della seconda guerra mondiale e del regime di Vichy. «La storia ha convalidato la capacità militare del generale De Gaulle, ma ciò non delegittima l’azione politica del maresciallo Pétain, né la posizione morale dei francesi che l’hanno seguito. Se De Gaulle è stato lungimirante, Pétain è stato un uomo d’onore firmando l’armistizio», scrive Jean-Marie Le Pen. Durante questi ultimi anni, il fondatore del Front national non si è mai nascosto quando c’era da dire ciò che pensava veramente su Pétain, come quando al settimanale Rivarol, nel 2015, ha dichiarato di non considerare il capo del governo collaborazionista di Vichy come un «traditore». «La Francia è stata troppo severa nei suoi confronti dopo la Liberazione», aveva affermato. E dalle pagine dei suoi Mémoires, emergono nuovi apprezzamenti: «Un eroe deve essere bello. Come San Michele o il maresciallo Pétain». Il padre della Quinta Repubblica francese, Charles de Gaulle, è oggetto di critiche veementi. Al generale, JeanMarie, non perdonò mai la fine dell’Algeria francese. «In apparenza, ci sono due De Gaulle, il ribelle del 1940 e il cacciatore di ribelli del 1961. Ma tutti e due, assieme, formano per me un falso grande uomo, il cui destino fu quello di aiutare la Francia a diventare piccola». Parà in Algeria durante la guerra tra il 1954 e il 1962, il presidente onorario del Fn è accusato di aver praticato la tortura da molti testimoni, che il regista José Bourgarel ha riunito nel documentario La Question: Le Pen et la torture. Ma a queste accuse, “Menhir”, risponde: «c’est bidon», sono false. «Né io, né i miei commilitoni eravamo incaricati degli interrogatori speciali (...). Sono stato accusato della stessa scena di tortura, lo stesso giorno, alla stessa ora e a più di 100 chilometri di distanza», si difende Le Pen nei Mémoires.
LE FIGLIE
In questo primo tomo, lo spazio riservato alle figlie è ristretto, ma la frecciata alla più conosciuta di loro, Marine, è rumorosa e carica di veleno. «Quando ci penso un sentimento mi sovrasta: provo pietà per lei. Credo nella giustizia immanente. La sua strategia e il suo stratega (Florian Philippot, ex braccio destro di Marine, ora presidente del movimento Les Patriotes, ndr) hanno sbagliato tutto (...) Affannandosi per rendermi obsoleto, si è infangata da sola, infangando anche il Front national, fatto ancor più grave».
LA RELIGIONE
Tra gli estratti pubblicati dal Parisien, emergono anche diversi aneddoti personali, come quando, nel 1965, rischiò di perdere un occhio mentre aiutava l’amico e allora candidato della destra radicale Jean-Louis Tixier-Vignancourt a costruire un tendone. In questo album denso di storia, ma anche di tante ferite, Jean-Marie Le Pen ricorda anche la sua rottura con la religione, avvenuta a 16 anni, nel 1944, dopo che alcuni preti gli avevano fatto credere che la madre era morta, nella speranza di calmare il suo animo di adolescente ribelle. Emerge infine il politico gioioso che è sempre stato, chiassoso e bon vivant, nonostante tutto. «Canto sempre», racconta nei suoi Mémoires, lui che ha pubblicato i discorsi di Pétain e i canti della Wermacht a partire dal 1963. «I canti della legione, alcuni dei quali vengono dalla Wermacht, le canzoni della Comune di Parigi o dei repubblicani spagnoli, altri canti anarchici, fascisti e monarchici», scrive “Menhir”, fanno anch’essi parte del suo patrimonio canoro.
Fra tre settimane c’è l’attesissimo congresso del Fn, che potrebbe sancire l’abbandono dello storico nome. Fra sette giorni esatti uscirà invece l’integralità del suo testamento. «La data di pubblicazione è un puro caso», dicono i suoi fedelissimi. Non privi di ironia.