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 2018  febbraio 22 Giovedì calendario

Il presidente con la pipa. Sandro Pertini, il meglio del peggio degli italiani

Udite. Hanno girato un film su Sandro Pertini, che in pochi ricorderanno davvero. Uscirà il 15 marzo e non so in quanti correranno a vederlo. Aspettiamo i dati. Intanto diciamo che quest’uomo non era una macchietta ma tendeva a sembrare tale. Viveva aggrappato alla pipa e al Quirinale era impegnato soprattutto a contare il numero di studenti che lo andavano a trovare. Gli piaceva parlare coi ragazzi e impartire loro lezioncine sulla Costituzione. Vado a memoria. Fu eletto nel 1978 per disperazione. Tanto per cambiare, il Parlamento non riusciva ad accordarsi su un nome degno di diventare il rappresentante dell’Unità nazionale. Dopo una serie di liti, deputati e senatori ripiegarono sul presidente della Camera in carica. Lui, “mister pipa”, già abbastanza vecchio, 82 anni. Non appena varcò il portone dell’augusto Palazzo sul colle, ringiovanì, manifestando un vigore straordinario. 
Aveva un brutto carattere come tutti quelli che ne hanno uno, e cercò durante il suo settennato di interpretare al meglio il peggio degli italiani: il conformismo. Riuscendoci benissimo. Il Paese attraversava un periodo tribolato: rapimento e uccisione di Aldo Moro, le Brigate Rosse gambizzavano e assassinavano quotidianamente presunti avversari, la politica era incapace di reagire adeguatamente. Insomma, era un casino ben più grave di quello attuale, ma che nessuno rammenta. Ovvio, sono trascorsi da allora troppi anni e il tempo leviga, anzi cancella, per cui c’è in giro una massa di fessi che dichiara: beati voi anziani che avete vissuto un’epoca felice. Un corno. 
COMPAGNI ARMATI 
Si campava male sotto il tiro delle P38 e si moriva facilmente, bastava stare sui coglioni ai comunisti armati, i famosi compagni inclini a sbagliare. Il clima per assurdo favorì la popolarità di Pertini, che partecipò alle esequie di ogni vittima del terrorismo, senza mai rinunciare al ruolo di protagonista dietro e accanto alle salme. Aveva il senso del protagonismo e non falliva un colpo per mettersi in mostra. Tranne che sotto il letto, te lo trovavi dappertutto. Presenziò persino a Vermicino, dove erano in atto i tentativi per salvare il povero Alfredino, precipitato in un pozzo artesiano e che nessuno, nemmeno i nani reclutati all’uopo, fu in grado di riportare vivo in superficie. Una vicenda dolorosa paradigmatica della confusione patria: un bimbo casca in un buco e non c’è anima che lo tiri fuori prima che spiri. Ma Pertini era sul posto, dando la sensazione di stare sempre dalla parte dei cittadini, specialmente i più sfigati. Ecco perché gli italiani lo amarono anche se si limitava a brontolare. L’indomani del terremoto irpino, migliaia di senzatetto, villaggi sbriciolati, Sandrone si impennò quale cavallo imbizzarrito e lanciò una invettiva contro le istituzioni che non avevano provveduto a soccorrere immediatamente i campani sotto le macerie. Le sue uscite somigliavano più a intemerate da bar sport che non a interventi di un presidente della Repubblica. Proprio per questo conquistò parecchi cuori e zero cervelli. In pratica, si può affermare che fu populista ante litteram, altro che i suoi epigoni, compresi quelli di un certo successo. Nell’arte sovrana di gettare fumo negli occhi alla gente, Sandro, socialista e antifascista talmente duro da sconfinare nella esaltazione, è stato impareggiabile. 
L’INCONTRO 
Lo conobbi personalmente. Il Corriere mi inviò verso la fine di un dicembre gelido a Nizza, dove il capo dello Stato trascorreva le feste natalizie. Mi recai presso la sua abitazione, in via Pastorelli, e in strada attesi il suo rientro allo scopo di intervistarlo sulla vicenda dell’Asinara. Quando in zona, mi avvicinai per parlargli, egli si impressionò, scambiandomi per un guerrigliero rosso e gridò: gendarmi, arrestate quest’uomo. Rimasi annichilito. Provai a spiegarmi e a fatica lo persuasi che ero soltanto un giornalista. Finalmente conversammo e ebbi le informazioni utili per il mio servizio. Scrissi e il dì successivo tornai in famiglia. Non appena messo piede nel mio appartamento, squillò il telefono. Era il Quirinale. Pertini si scusò, introducendo il discorso con una sua espressione classica, “non è vero”, mi perdoni ma al momento temevo un agguato, le auguro buon anno. 
L’idea di aver fatto paura al Presidente mi rallegrò e il fatto che mi avesse chiamato per pormi gli auguri mi divertì pure. Allorché scadde il suo mandato, egli scomparì. Si afflosciò. Si nascose. L’estate successiva al suo addio, il solito Corriere mi inviò in Val Gardena dove Pertini, secondo segnalazioni, era in vacanza. Identificai l’albergo in cui soggiornava, ed entrai in un salone con tanti tavoli deserti, tranne uno, occupato da Sandro. Mi accostai con cautela per non spaventarlo. L’ex presidente aveva un volto marmoreo, inespressivo, gli occhi spenti. Mi guardò con indifferenza e rispose alle mie poche domande con svogliatezza. Mi disse: da che non faccio più niente sono stanco. Mi atterriscono maggiormente la noia e il vuoto del fascismo. 
Prima di andarmene gli strinsi la mano. Che tremava. Pochi mesi dopo morì.