Libero, 22 febbraio 2018
Il buco nero Inps. Calano i superstiti di guerra ma lievitano le loro pensioni
Altro che riforma indispensabile e imminente delle pensioni. A giudicare dai numeri ci sarebbe da mandare i lavoratori italiani in pensione addirittura prima, almeno considerando quelli che realmente hanno effettuato i versamenti. Peccato che poi nel calderone della spesa previdenziale ci finisca un po’ di tutto: dalle pensioni degli operai a quelle dei ministeriali, dall’assegno per gli invalidi a quello per i sacerdoti e dei superstiti di guerra. Le pensioni di guerra (dirette e indirette), a fine 2016 sono costate 1.301,8 milioni di euro, in lieve crescita rispetto ai 1.299,4 del 2015. E questo nonostante siano diminuiti i trattamenti (da 202.824 del 2015 ai 189.287 in pagamento lo scorso anno.
Un minestrone di uscite inevitabilmente confuso che lievita. Ma non certo per colpa degli aspiranti pensionati.
Il tradizionale “Bilancio sulla previdenza” realizzato dal centro Studi Itineriari Previdenziali guidato da Alberto Brambilla (giunto alla quinta edizione), rimette in colonna entrate e uscite e soprattutto consente di spacchettare la mera spesa previdenziale (che se lo Stato avesse versato negli anni i contributi per i propri dipendenti sarebbe più che in attivo), da quella assistenziale.
ENTRATE IN AUMENTO
Nel 2016 snocciola il professor Brambilla presentando il Rapporto «la spesa pensionistica italiana relativa a tutte le gestioni ha raggiunto i 218.504 milioni di euro, mentre le entrate contributive sono state pari a 196.522 milioni di euro, per un saldo negativo di 21.981 milioni». Ma attenzione «a pesare sul disavanzo, in particolare, la gestione dei dipendenti pubblici, che evidenzia un passivo di ben 29,34 miliardi parzialmente compensato dall’attivo di 2,22 miliardi del Fondo pensione lavoratori dipendenti, il maggior fondo italiano, e dai 6,6 miliardi della gestione dei parasubordinati. Emergono dal quinto Rapporto dati eclatanti: ad esempio che sull’onda del lieve miglioramento della fase congiunturale aumentano «del 2,71% i contributi versati» e quindi si «riduce di 4,56 miliardi il saldo negativo di oltre 26 miliardi registrato nel 2015».
IL PICCO 2008
Se è vero che nel 2016 il numero dei pensionati (16.064.508 unità), ha raggiunto il «punto più basso dopo il picco del 2008» (per effetto dei blocchi imposti dalle diverse riforme), l’andamento sdi segno avverso dell’occupazione ha contribuito a migliorare i conti previdenziali. Lo scorso anno scandisce Brambilla è stato «raggiunto il livello massimo nel rapporto tra occupati e pensionati, dato fondamentale per la tenuta di un sistema pensionistico. Con un numero di prestazioni in pagamento in diminuzione». Il rapporto tra numero di prestazioni in pagamento e numero di pensionati sia pari a 1,43, dato più elevato dal 1997, il rapporto tra numero di prestazioni in pagamento e popolazione tocca invece quota 2,638», insomma, è in pagamento almeno una pensione per famiglia e spesso si tratta di prestazioni assistenziali, vale a dire senza o con pochi contributi versati.
Brambilla sottolinea nel pieno di una campagna elettorale fatta di promesse e rassicurazioni previdenziali future che è «indispensabile fare chiarezza» partendo dai numeri che evidenziano «che la spesa per le pensioni sia assolutamente sotto controllo». Il problema, semmaièchesu16 milioni di tratttamenti in vigore più della metà sono totalmente o parzialmente assistiti dallo Stato. La spesa aggregata in Italia per sanità, previdenza e assistenza ammonta a 452 miliardi, il 57,32% delle entrate (830 miliardi). Un valore «più alto di quello raggiunto dalla Svezia, considerata la patria del welfare», sintetizza il Rapporto sfatando così un altro luogo comune.