il Giornale, 23 febbraio 2018
Grecia, amore, morale, azione. Ecco il Drieu più «classico»
Nella primavera del 1928, Drieu La Rochelle fece un viaggio in Grecia. Aveva 35 anni, una nuova casa, una nuova moglie, ma la sua vita era sempre la stessa, scontenta anche se piena di buoni propositi, solitaria pur nel moltiplicarsi delle occasioni mondane. Prima di partire, rispondendo all’inchiesta di un giornale sul rapporto fra intellettuali e politica, aveva dichiarato di non credere più ai partiti e di stare scrivendo un libro, «una specie di discorso ai borghesi», per invitarli a rompere con il nazionalismo, superare il comunismo, «organizzazione internazionale del capitalismo», coltivare la spiritualità senza per questo sottomettersi alla Chiesa, almeno sino a quando quest’ultima non avesse ritrovato «la sua povertà temporale». È ciò che dal punto di vista ideologico sarà Genève ou Moscou, e poi L’Europe contre les patries, infine Socialisme fasciste; ma dal punto di vista narrativo è anche il campo d’azione di Une femme à sa fenêtre, romanzo in cui sesso, amore, morale e azione, a confronto in un’ambientazione esotica eppure europea, gli permettono di andare più in profondità nell’analisi della decadenza e/o rinascita di se stesso, della generazione di cui faceva parte, della Francia in cui si trovava a vivere.
Che fosse la Grecia a fare da detonatore e insieme da cornice del romanzo, non è secondario e merita un approfondimento. Ad Atene Drieu era sceso all’Hôtel de la Grande-Bretagne, oggi sconciato da un restyling pacchiano, ma sino a vent’anni fa il simbolo di quel lusso non esibito e confortevole che caratterizzò l’epoca in cui viaggiare era ancora un piacere... Al tempo di quel soggiorno, ogni sera ci sono cene, feste, ricevimenti dove la buona società fa mostra di sé, e Drieu non se ne perde una: è un modo come un altro per constatare che «tutto ciò che è al mondo è solitudine». Prima di rientrare in camera, l’immagine che gli rimandano gli specchi dei corridoi e del bar dell’albergo è quella di un uomo «di 35 anni, bella cravatta, rughe, qualche macchia sulla pelle. E il più nero mistero nello spirito, vale a dire il vuoto»...
Ogni mattina però Drieu sale all’Acropoli: «Lì passo la mia vita, è una meraviglia. Il Partenone è ancora una lezione che vale la pena. Non vedo le rovine: vedo il Partenone nuovo». Sprofondata nella corruzione della sua classe dirigente, nella polvere delle strade e delle piazze, nell’indolenza a volte selvaggia di chi la abita, la Grecia possiede un’energia primordiale che la mette al riparo dai guasti della modernità, una sorgente mitica a cui attingere e in grado di tonificare per la battaglia futura da combattere, la controrivoluzione in cui l’antico, il corpo e le divinità, il sangue e la sessualità, la virtù guerriera e la natura avranno la meglio sul nuovo che avanza, la tecnica e la ragione, l’atrofia dei sensi e il libertinismo fine a se stesso, il denaro come unico riconoscimento sociale, le sovrastrutture economiche... Romanticamente, Drieu trova in Grecia ciò che in Francia gli sembra precluso: un luogo dove l’azione abbia un senso, l’amore il suo significato più profondo di scambio e di sacrificio, la solitudine una realizzazione nel suo essere compresa e condivisa.
Adesso che Una femme à sa fenêtre esce finalmente in italiano (Una donna alla finestra, Gog, pagg. 240, euro 14, in libreria da marzo), bene fa il suo curatore e traduttore Marco Settimini, nella puntuale quanto originale nota che accompagna il romanzo, a parlare di «un’eterna estate della Grecia» per Drieu: è qui che lui percepisce per la prima volta «l’eternità del mondo, la mia prigione; mi rigiro in bocca questa parola saporosa e vana; mi avvolgo nella inesauribile creazione senza fine»...
È in buona compagnia, Drieu. Gli anni in cui egli scopre la Grecia sono gli stessi in cui da Henry Miller a Lawrence Durrell, la Grecia diventa «la via di fuga dalla morte occidentale, dalla sterilità di una civiltà dominata da quelle logiche inumane che oggi stritolano la terra ellenica. Perché la Grecia non dimentica Delfi e il Partenone, Epidauro e Cnosso e li porta nel suo spirito. È teatro cosmico degli estremi e delle armonie». In quelle rovine, gli scrittori prima citati scorgono sì il passato, ma anche una nuova vita: «Vago attorno agli abissi perché so che vi ricado e ne uscirò; sono lo Spirito sempre vivo» scriverà Drieu. «L’Europa è greca o non è» scrive ancora, giustamente, Settimini.
Costruito come un triangolo erotico-ideologico, Una donna alla finestra è, con Feu follet e L’homme à cheval, il più cinematografico dei romanzi di Drieu e se per quest’ultimo è restato un sogno il progetto di Alain Delon di adattarlo per lo schermo, gli altri due trovarono in Louis Malle e Pierre Granier-Deferre i registi ideali per tale compito. In entrambi i casi, l’azione temporale venne spostata in avanti nel tempo, gli anni Sessanta e quelli della Seconda guerra mondiale rispetto agli anni Venti-Trenta; come nota Settimini, per l’epilogo di Una donna alla finestra non si tratta di una scelta di comodo o casuale. La stessa apparizione «quasi fantasmatica e comunque sempre di spalle di un uomo – Drieu stesso, impersonato da un attore assai somigliante» è «come una firma in calce al film, ma non soltanto in calce al film: anche alla storia del Continente; di un Continente al suo declino». La realtà insomma ha vinto sul sogno e/o sull’illusione e bisogna prenderne atto.
Granier-Deferre costruì il film sulla luminosità sensuale di Romy Schneider, l’aristocratica Margot Santorini del romanzo, e anche questa non è una scelta né banale né di pura cassetta: del resto il primo titolo scelto da Drieu era La marquise et le communiste e poi Le droit d’asile... Margot infatti rispecchia più Drieu del suo contraltare maschile, l’agitatore comunista Michel Boutros. La sua idea che dietro l’amore per un uomo ci debba essere l’amore per la sua forza e il suo prestigio, è propria di Drieu, per il quale le ideologie e le fedi politiche sono elementi irrisori rispetto all’azione in sé. Pur avendo come sceneggiatore Jorge Semprun, intellettuale e militante comunista spagnolo, il regista dà per certi versi più spessore alla figura del marito di Margot (Umberto Orsini nel film), altra scelta felice, perché anche Rico Santorini è Drieu, il Drieu che da uomo sposato ha sempre tradito, il Drieu che non sa essere altro che «un uomo coperto di donne», sempre l’amante in carica di qualche altra e mai lo sposo di una sola... Questo casomai è il ruolo assegnato al terzo elemento del triangolo sentimentale, Malfosse, l’innamorato borghese, fedele e mai corrisposto (Philippe Noiret) e che, forse, chissà, riuscirà alla fine ad avere la meglio...
Boutros, il comunista Boutros (Victor Lanoux), più che un’identificazione o una proiezione, è dunque un pretesto. Nel 1929 Drieu ritiene «i comunisti corrotti nel cuore e nello spirito quanto i capitalisti, ma resta in loro una fiammella di virilità e di sanità: vogliono il combattimento, la prova. Da questa lotta mi attendo una profonda rinascita del pianeta oppure il suo immergersi per secoli nella morte feconda, oltre i limiti della memoria, da dove usciranno più tardi forme nuove d’umanità, se a questa specie è ancora dato di durare. Questo è il prestigio che mi ha persuaso al comunismo, me ne infischio delle dottrine e di tutte le sue pretese di accuratezza, è un movimento, è qualcosa che sfida la morte che rischia la morte, tutto quello che io amo al mondo».
Nell’aprile del 1943, quando ormai l’esercito sovietico appare vittorioso in Europa, Drieu scriverà nel suo Diario: «Ritorno al punto di vita di Boutros in Une femme à sa fenêtre. Uno dei miei libri dimenticati da tutti e da me stesso. Il comunismo come fine di tutto, come ultimo termine della decadenza europea. Dopo si ricomincia non da re Clodoveo, ma ben al di là di re Clodoveo». È una delle tante previsioni sbagliate, ma a sua consolazione-giustificazione quel romanzo «dimenticato da tutti e da me stesso» continua ancora oggi a farsi leggere, mentre il comunismo è un relitto del XX secolo.