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 2018  febbraio 23 Venerdì calendario

Ristomafia, la piovra nel piatto. «Uno su 5 legato ai criminali»

Milano La piovra nel piatto. E senza patate. La malavita sta occupando le nostre tavole e nessuno sembra preoccuparsi granché. E badate: non è un problema solo del Meridione o di Roma. Si calcola che anche nella Milano della Grande Bontà, capitale della gastronomia, un ristorante su cinque abbia rapporti più o meno diretti con la malavita organizzata. Una percentuale che cresce quando si parla di nuove aperture. «Perché bisognerebbe chiedersi – dice Valerio M. Visintin, il critico mascherato del Corriere della Sera – perché ogni giorno apra una nuova insegna contro ogni logica commerciale. Abbiamo davvero bisogno di tutte queste pizzerie gourmet o non gourmet, hamburgherie, ramen bar? Se un giorno i milanesi decidessero di andare a cena tutti insieme, bambini e moribondi compresi, resterebbero dei coperti vuoti». Visintin è l’anima di Doof, una factory che già nel nome – il contrario di food – vuole guardare l’altra faccia della bolla del cibo.
Dati precisi purtroppo non ce ne sono. «Ma alcuni elementi induttivi ci sono – dice Lino Enrico Stoppani, presidente della Fipe-Confcommercio – Primo, il forte turnover è sintomo di debolezza del nostro settore. Secondo, se guardiamo i dati delle confische, il 10% delle imprese confiscate in Lombardia sono ristoranti». Ma come si fa a capire se un’insegna puzza di mafia? «I continui cambi di gestione, l’intestazione di prestanome date a persone improbabili, ad anziani, sono campanelli d’allarme». Colpa anche di una certa disinvoltura dell’intero sistema. «Oggi una società di pubblico esercizio, grazie alle liberalizzazioni, è apribile quasi senza burocrazia, basta una Scia e il Comune ha 60 giorni per verificare i requisiti morali, igienico-sanitari ma i controlli non vengono effettuati se non a campione. Quindi vanno implementati».
Il prosperare della ristomafia (o ristocamorra) ha varie conseguenze negative. Intanto finanzia il crimine. E poi costituisce una concorrenza decisamente sleale nei confronti dei ristoratori onesti. «I commercianti per bene lamentano da anni la fine del principio della libera concorrenza, il dumping dei prezzi, la dequalificazione del settore, lo svilimento delle licenze».
Ma perché la criminalità organizzata si siede a tavola? «Un locale – spiega Alessandra Dolci, coordinatrice della Dda di Milano – è attrattivo per la criminalità perché consente il riciclaggio grazie alla movimentazione del denaro, il controllo del territorio soprattutto nelle realtà periferiche, come accadeva nello storico bar Lions di Corsico dove si incontravano i principali esponenti della ’ndrangheta della periferia milanese, poi offre posti di lavoro legali che vengono utilizzati anche per ripulire la reputazione di persone sottoposte a misure di prevenzione, perché allarga la cerchia delle relazioni sociali e comode basi logistiche». Per questo uno dei principali atout investigativi è «ascoltare le voci del quartiere».
Secondo Visintin c’è anche un ruolo per la critica gastronomia in questa vicenda che schizza la tovaglia immacolata. «I critici potrebbero intanto evitare di celebrare come una festa ogni vernissage, perché in molti casi bisognerebbe avere cautela. Soprattutto quando si tratta di locali che fanno parte di invasioni di generi (come la pizza) e di regioni (come la Puglia). Se dessimo meno spazio alle inaugurazioni e più alla qualità dell’insegna eviteremmo di fare pubblicità a ristoranti di dubbia reputazione».